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mercoledì 25 luglio 2012

Capitolo dodicesimo, di nuovo Stan e Rachel.

XII

Colpo di fulmine. Che sarebbe poi a dire quando un uomo e una donna, o due uomini o due donne, dipende dalle preferenze, si vedono per la prima volta e, sbadabàn, sono innamorati, cotti a puntino come due begli arrostini con patate al forno.
Voi penserete che sia una cazzata, roba da bambinetti che si infatuano della prof di matematica solo perché ha la gonna sopra al ginocchio e si appoggia al davanti della cattedra spiegando le equazioni. Di solito è così. Ma nel caso di Stan Hanlon e di Rachel Uris, anche se loro non se ne erano ancora resi conto, perché lo si potesse definire senza tema di smentite un colpo di fulmine, sarebbe mancato solo il tuono.
Rachel si era seduta accanto al letto di Stan e quel profumo che lei spandeva intorno a sé, “hipnotic qualcosa che suona francese qualcos’altro”, ma anche proprio il profumo della sua pelle, avevano fatto dimenticare a Stan il dolore per le fratture e la delusione per il comportamento dei suoi superiori, e dei suoi concittadini.
E lei, essendo un medico col suo paziente non poteva pensare a lui come un uomo, si sa, ma quegli occhi nocciola, così calmi e tristi, quella pelle che più che nera sembrava molto abbronzata, quel sorriso sincero quando le aveva fatto dei buffi complimenti, le avevano fatto venire voglia di sedersi accanto a lui a parlare di tutto e di niente, dimenticandosi della fatica del turno di notte in corsia, dimenticandosi dell’affitto da pagare, dimenticandosi del linciaggio che c’era stato tre giorni prima e che le aveva fatto venire voglia di tornarsene giù al sud.
- Vuoi dell’acqua? – gli chiese vedendo che continuava a masticarsi le labbra e lui le aveva detto di sì. E quando gli aveva porto il bicchiere, sebbene la mano sinistra l’avesse funzionante anche se un po’ ammaccata, le era venuto naturale reggerglielo mentre beveva.
- Grazie. – disse lui sorridendo e a quel sorriso, mentre in tv lo speaker con la sua voce stentorea annunciava l’inizio del Richard Tozier Show, in diretta dalla più mitica città de mondo, Los Angeles, Rachel si innamorò del tutto di Stan. E lui, be’, in realtà lui si era già innamorato di lei quando nel suo doloroso dormiveglia l’aveva presa per Rachel Weisz.
Sullo schermo Richie Tozier entrò in scivolata in mezzo allo studio, e Stan disse quello che aveva sempre pensato vedendolo entrare così. – Qualche volta ci rimane a fare quella corsa. –
- E sì. – disse lei e sorrise, perché era stata lì lì per dirlo anche lei. Anime gemelle, o almeno cazzate gemelle, che era già qualcosa.
- Oggi a casa io e la mia colf abbiamo sentito Romney che diceva che se va avanti così con l’immigrazione, gli Stati Uniti dovranno cambiare lingua ufficiale. E lei ha detto: “O mio Dio. E come faccio a imparare l’inglese?” – disse Tozier sbagliando totalmente i tempi comici, che sono quella cosa che ti accorgi che esiste solo quando il comico non ne becca uno.
- Ma sta male? – chiese Stan – Mi sembra più vecchio di dieci anni. –
- Eh già. – disse Rachel – C’ha delle occhiaie che fanno paura. –
- Avete letto che in Italia Berlusconi si vuole ricandidare a premier? – chiese Tozier al pubblico, poi sorrise e aggiunse: - Certe volte per quanto tiri lo sciacquone non vogliono proprio andare giù nelle fogne, eh? – e il pubblico rise di gusto, ma alla parola fogne Tozier sembrò avere un mancamento.
- Per me sbatte in terra tra meno di un minuto. – disse Rachel togliendo un peletto dal camice di Stan. Lo fece così, senza neanche pensarci e anche a lui sembrò normale.
- Lo sapete perché Kim Kardashian non si è ancora risposata? – chiese ancora al pubblico Richie e qui sembrò riprendersi un po’. Il pubblico reagì bene alla battuta che seguì e lui continuò col suo repertorio tipico sui matrimoni delle star, che durano meno degli effetti collaterali del viagra, sui candidati repubblicani e le loro figuracce, sul matrimonio di Tom Cruise, sul divorzio di Tom Cruise, sulla figlia di Tom Cruise.
Passò poi allo sketch di Facebook, quando si sedeva al computer e faceva finta di non sapere neanche da che parte aprirlo, ma a questo punto Stan e Rachel non lo seguivano più. Si erano messi a parlare di film con Tom Cruise, parlando dei loro preferiti, imitando le battute più famose, ridendo dei momenti più cretini e dicendo cose stupide che non avrebbero mai ricordato, perché l’importante era la complicità che si rafforzava tra loro.
Dopo la top five della serata, i cinque motivi per cui un cane voterebbe per Obama e non per Romney, arrivò il momento del tizio un po’ scemo che fa cose molto sceme. Quella sera era un clown, uno di quelli che arrotolano i palloncini formando animaletti che poi sono sempre bassotti, barboncini e giraffe.
- Uh quanto odio i clown! – disse Rachel facendo una graziosa smorfia di disgusto e Stan sorrise, perché anche lui li aveva sempre odiati.
- Quando divento re del mondo, li metto fuori legge. –
- Hai il mio voto. –
- Li mando a spalare letame, ma con le loro scarpe extra lunghe ai piedi. –
- Giusto! – disse lei e pensò di baciarlo, ma lo vide allargare gli occhi in segno di stupore e si voltò a guardare la tv.
- E che cosa sarebbe quel palloncino, perché sembrerebbe proprio un … - disse Tozier, ma aveva la voce strozzata e stava appoggiato alla scrivania come uno a cui giri la testa. Malgrado il cerone che aveva in faccia era verde come il Joker. Mentre leggeva il gobbo gli tremava la voce.
- Ma si sente male per davvero! – disse Stan, ma in effetti quel clown coi palloncini in mano dava fastidio anche lui, gli ricordava il delirio di suo padre quando il tumore al cervello gli aveva tolto il senno.
- Per me fermano il programma. – disse Rachel, e chissà come mai le tornò in mente suo padre mentre si suicidava. Pensava che dovesse avere la stessa espressione di Tozier mentre si apriva i polsi.
Il pagliaccio fece un altro paio di palloncini, toh! Un bassotto e un barboncino! E poi se ne andò. Tozier sembrava ormai un morto rianimato con l’elettricità e quando gli strinse la mano parve toccarlo come un uomo normale toccherebbe una cesta di serpenti a sonagli. Poi guardò in camera e con un sorriso tirato disse: - Torniamo dopo la pubblicità. –
- Mamma mia. – disse Stan che era ingrigito vedendo la sofferenza del povero Tozier – Per te ricomincia il programma o no? –
- Non lo so. – disse lei. – Per me quel tizio aveva una paura fottuta. – e disse la parolaccia senza neanche pensarci. Non era un paziente, con cui si sarebbe controllata, era Stan.
Si rimisero a parlare di questo e quello, Atlanta, Derry, i film, le canzoni, ogni secondo più vicini e senza smettere mai di guardarsi negli occhi, quando dalla tv risuonò la sigletta del programma. Tozier era seduto alla scrivania, sembrava essersi ripreso, più o meno, e annunciò l’ospite della serata. – Ecco a voi lo scrittore Bill Dembrough! –
L’uomo che entrò in scena era un sessantenne, o qualcosa di più, alto e ben fatto, calvo e con la faccia simpatica, e ricordò a Stan un uomo politico di cui aveva letto tempo prima, il Presidente italiano Giorgio Napolitano. Quello che aveva letto di lui, l’impressione di calma e autorevolezza che quella vecchia faccia esprimevano dalle foto, corrispondevano perfettamente a Bill Dembrough. Solo che lo scrittore era di una ventina di anni più giovane ed era vestito sportivo. Anche lui era pallido come Tozier, aveva anche un discreto paio di occhiaie, ma stringendo la mano al conduttore sorrise. – Ciao Boccaccia! – gli disse e Tozier rimase per un attimo interdetto, poi parve illuminarsi, parve quasi ringiovanire, e gli rispose: - Ciao Big Bill. Come butta? –

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