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venerdì 20 luglio 2012

Capitolo VIII, Eddie, Myra e Audra.

VIII

Myra Kaspbrak non aveva scoperto come Patricia Uris di essere incinta poche settimane dopo la morte del marito. Myra Kaspbrak a dire il vero non aveva neanche mai potuto essere sicura della morte del marito, perché l’ultima volta che l’aveva visto lui stava partendo per la cittadina natia, Derry nel Maine, e l’unica cosa sicura era che pochi giorni dopo, mentre lei ne aspettava fiduciosa il ritorno, ché il suo Eddie non l’avrebbe mai potuta abbandonare da sola, le era giunta la notizia di uno spaventoso nubifragio che aveva devastato Derry facendone inabissare tutto il centro in una voragine fangosa e maleodorante.
Il conteggio finale delle vittime, più adatto a uno di quei paesi del terzo mondo dove pare che ogni acquazzone debba portare a delle stragi, era stato di ottantasette morti, tra i ritrovati, sessantuno, e i dispersi, ventisei tra cui Eddie.
Nessuno sapeva con precisione dove Eddie fosse stato durante la sua sosta a Derry e nessuno di conseguenza sapeva dove potesse essere finito durante il nubifragio.
Per Myra Eddie non era morto. Era ferito, in ospedale, privo di conoscenza, o di memoria, o in coma, o era stato rapito da un pazzo, dai terroristi, o l’aveva rapito una pazza che lo teneva prigioniero in una cantina umida abusando di lui.
Quando, nel 1987, vedendo in tv e sui giornali le foto oscene di una attrice che, ricordava solo allora, lo aveva incredibilmente colpito quando nell’81 l’aveva scarrozzata per la città, “Che capelli rossi!” le aveva detto con lo sguardo trasognato dell’adolescente che parla delle mutandine della cheerleader e quella notte aveva fatto un sogno erotico nominando più volte una certa Beverly, la nostra Myra aveva pensato che Eddie non fosse prigioniero di una pazza ma l’avesse in realtà lasciata per una donna più (magra) giovane e bella, il mondo le crollò addosso.
Lasciò il lavoro, abbandonò i pochi amici e si rifugiò, ancora più di prima, nel cibo, superando di gran carriera il limite dei centottanta chili nel mese di giugno dell’89. E fu allora, mentre seduta in poltrona si mangiava una fetta di torta alla crema, che il suo povero cuore soccombette alla ciccia che lo soffocava lasciandole solo il tempo di borbottare il nome del suo amato Eddie.
Quindi alle due del mattino non vi fu nessuno che avesse il sangue di Eddie Kaspbrak nelle vene che potesse in qualche modo reagire al terremoto della rinascita di It e l’unica cosa degna di nota che avvenne fu che lo scheletro ammuffito di Eddie, posato ormai da ventisette anni davanti alla porticina della tana del mostro, in posa composta per quanto lo permettesse l’assenza del braccio destro, fu scosso dalla vibrazione del terreno e perse definitivamente la connessione tra un osso e l’altro. Anche la mandibola cadde e, proprio a volerci vedere un qualche significato, sembrò che quelle ossa che molti anni prima erano state Eddie Kaspbrak, avessero emesso un urlo per quanto muto.
Le foto che tanto avevano colpito Myra nel 1987 erano invece quelle che Audra Phillips aveva fatto per Playboy alla notevole età di quarantacinque anni.
La Phillips e suo marito Bill Dembrough avevano fatto finta di avere accettato quel servizio fotografico, quando un giornale ti chiede di farti delle foto in cui ti si vede la passera, chiedi anche il parere di tuo marito prima di decidere se dire sì o no, per i duecentomila dollari che Hugh Heffner in persona le aveva promesso, ma tutti e due sapevano che quel servizio serviva invece per uno scopo ben preciso. Secondo una bella definizione dell’attrice Geena Davis a Hollywood esistono solo tre parti femminili: la bomba sexy, la procuratrice dello stato di New York e … A spasso con Daisy.
Con quel servizio la nostra Audra aveva attirato su di sé molta attenzione e aveva fatto capire ai produttori che malgrado l’età andava ancora bene per la prima delle tre parti suddette.
Dopo la pubblicazione del servizio, appartenente ad un’epoca in cui non esistevano ancora foto shop e la depilazione totale, servizio fotografico su cui molto ragazzini americani nati tra il ’71 e il ’74 si erano esercitati lungamente nell’arte di rendersi ciechi, per un paio di anni Audra era stata molto richiesta per film noir, normalmente nella parte della maliarda crudele e traditrice. La sua carriera di attrice, intendendo con questo termine la carriera di attrice in film per il cinema e non le comparsate in serie tv e soap opera che aveva fatto per i tre anni successivi, si era interrotta nel 1989, quando non era stata presa per la parte della bella archeologa cattiva del terzo Indiana Jones. Era chiaro a tutti che essendo coetanea di Harrison Ford e di ben dodici anni più giovane del coprotagonista Sean Connery non sarebbe stata credibile per nessuno come loro amante, e se non trovate una logica in queste ultime parole, non avete capito nulla del mondo del cinema.
Vuoi per la fine della sua carriera, vuoi per l’aborto spontaneo che aveva avuto al terzo mese della sua tardiva gravidanza, intorno ai cinquanta anni la bella Audra cominciò a chiudersi in sé stessa allontanandosi da tutti e passando sempre più tempo a letto.
I dottori parlarono di depressione, astenia, stanchezza cronica e mille altre cose, dovendo infine ammettere con il sempre più disperato Bill Dembrough che non avevano la minima idea di cosa avesse la donna.
Nel 1993 Bill fu costretto a farla ricoverare in una splendida casa di cura sulle colline dietro a Los Angeles e nel 1999, quando lei aveva 57 anni e lui 52, dopo sei mesi di silenzio totale, dovette riconoscere che Audra non si sarebbe più svegliata.
Arrivato ai giorni nostri Bill aveva cominciato a vedere Audra, che ormai non rispondeva neanche più agli stimoli dolorosi, come una donna in un film dell’orrore, tipo Notte dei morti viventi. Audra non era in coma, non era in stato di morte cerebrale. Audra aveva paura. Quando in quei film cominciano a gironzolare gli zombi, la gente prima si arma di fucili e piedi di porco e spacca teste su teste, ma quando gli zombi diventano troppi i sopravvissuti si chiudono in casa, asserragliati dietro porte e finestre sbarrate con tavoli e assi. Audra aveva paura di qualcosa, pensava Bill, qualcosa nella sua mente, e per non rischiare di esserne uccisa si era asserragliata nel più profondo del suo cervello, lontano da dove lui o chiunque altro la potessero raggiungere.
Era quindi una Audra Phillips settantenne e immobile che Camila Gutierrez, infermiera diplomata nata a San Salvador, stava lavando alle dieci e mezza di notte dopo averla calata nella vasca con un complicato sistema di cinghie e carrucole. Camila non aveva la minima idea di chi fosse quel corpo che curava tanto amorevolmente e di certo non la avrebbe riconosciuta se le avessero mostrato le foto apparse su Playboy venticinque anni prima. Fu mentre le passava una spugna sul braccio destro che, per la prima volta da dieci anni, Audra emise un suono. Era un gemito, in realtà molto simile a quello che era uscito dalla gola strozzata della povera prostituta uccisa dalla cosa che era stata Bob Gray.
Camila guardò con curiosità la povera Audra e rimase per un attimo ferma tentando di capire se fosse necessario chiamare il dottore. Decise poi di finire prima l’operazione di lavaggio e passò i successivi quindici minuti a rispondere con versetti infantili e schiocchi di lingua ai sempre più frequenti gemiti della donna. Aveva ormai finito di risciacquarla e si apprestava ad asciugarla quando Audra aveva spalancato gli occhi e si era messa a urlare frasi prive di senso che sembravano girare intorno a un clown e a un ragno e alle undici meno cinque, quando ormai intorno alla anziana donna si trovavano Camila, tre infermieri e il medico di guardia, Audra sorrise e disse, con voce molto chiara e solo un po’ metallica per il lungo silenzio: - Salve Bobby! – allargò ancora di più il sorriso, un sorriso cattivo, e disse: – Voglio proprio ringraziarti per avermi aiutato in questi anni! –
E poi avvenne in un attimo. La donna balzò fuori dalla vasca correndo sulle sue gambe atrofizzate in mezzo a infermieri e dottori spaventati, fece pochi metri in un corridoio dai colori pastello e poi crollò in terra, morta. Un filo di sangue le colava giù dall’occhio sinistro quando il medico di turno la voltò, ma il suo cuore era già fermo.

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