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martedì 17 luglio 2012

Scritto fresco fresco ieri, il V capitolo:

V

Stan pensava che non ci fosse nulla di più noioso della scuola, quando ti beccavi due ore di letteratura inglese e la prof si metteva a spiegare Milton o Melville, ma non le parti divertenti, quelle pallose per davvero. E invece c’era di peggio. L’ospedale. Coricato in un letto scomodo, ma con tutti quei bozzi e quelle fratture gli sarebbe sembrato scomodo anche un materasso di piume d’oca, dopo una giornata di merda e dopo aver dovuto consolare tua madre che piange perché sei in ospedale, cazzo, dovrebbe essere lei a consolarti, sapendo che non potrai uscire per molti giorni e dovrai startene lì coricato a contare i secondi, i minuti, le ore, i giorni.
Era notte, le due pensava, ma non riusciva a raggiungere il suo orologio sul comodino verde pisello. Riuscì a prendere invece il telecomando, accese la tv e abbassò il volume fino a renderlo pressoché inudibile. E scoprì che c’è qualcosa di peggio dell’ospedale di notte quando non riesci a dormire. C’è la tv estiva di notte. Televendite, repliche, televendite, repliche di repliche, televendite, horror italiani degli anni ’70, televendite. Era quasi ipnotizzato da tanta schifezza dispiegata gratuitamente di fronte a lui.
- Non dovrebbe dormire? – chiese una voce dalla porta. Si voltò e rimase senza fiato.
- Ma allora non era una allucinazione. – disse.
- Cosa? – chiese la bella donna in camice bianco con un cartellino appeso al taschino e lo stetoscopio attorno al collo.
- Eh … È che quando mi hanno portato qui c’ero e non c’ero, perdevo i sensi e non sapevo bene cosa ero vero e cosa me lo immaginavo. E, ecco, ero convinto di essermi immaginato Rachel Weisz davanti al mio letto. –
- E sarei io? – gli chiese sorridendo la dottoressa, era un sorriso lusingato, molto molto gradevole.
- Beh, sì. Ero un po’ confuso, ma la somiglianza c’è tutta. –
- Rachel Weisz è molto più bella di me. – disse la dottoressa avvicinandosi e continuando a sorridere, bellissimi denti, oltre a tutto il resto, tirò fuori una piccola torcia e gliela puntò nell’occhio sinistro, poi gli forzò un po’ il sopracciglio destro ancora molto tumefatto e la puntò nell’altro. – Bene, bene. – disse.
Stan rimase per un attimo come immerso in una nebbia verde, poi ricominciò a vedere bene. La dottoressa gli stava controllando i bernoccoli, era china su di lui e un suo seno era a sì e no a cinque centimetri dal suo naso. Si rese conto di non aver subito alcun danno all’apparato riproduttivo, proprio nessuno. Profumava di rose.
- Dottoressa Uris? – le chiese aguzzando l’occhio sul cartellino. Era bella anche in quella microfoto.
- Rachel Uris. –gli rispose tendendogli una mano e stringendo la sua con infinita delicatezza. – Non scherzo. Mi chiamo davvero Rachel. –
- Comunque sbaglia. – disse lui.
- In cosa? –
- Lei è più bella della Weisz. Lei non è truccata per girare una scena, lei è al naturale e sta facendo il turno di notte in ospedale. –
La bella dottoressa arrossì e si sfiorò distrattamente il naso graziosamente aquilino. – Certo che lei non si fa fermare da qualche frattura, agente Hanlon. –
- Stan. –
- È un bel nome. Si chiamava così mio padre. – disse lei.
- Un ricco possidente di New Orleans? – chiese lui ridendo – L’accento, sa? –
- Commercialista di Atlanta. – disse lei, ma forzò volutamente l’accento e disse “’Tlana”, vengo dalla città di Rossella O’Hara. –
- E che ci fa qua tra gli Yankee? –
- Mio padre è nato qui. C’era un posto in questo ospedale e volevo vedere dove era cresciuto. –
- Ah … - disse lui – Capisco. – e rimase in silenzio non sapendo bene come continuare.
Fu lei a parlare. – E ha avuto allucinazioni anche su Michael Jackson? –
- Non mi dica che c’è un dottore con quella faccia, che se no me ne frego delle fratture e scappo via. –
- No. È solo che quando la curavamo al pronto soccorso continuava a dire: “Ha ragione Michael Jackson.” –
- Dicevo così? –
- Ah - a! –
- O mamma! – poi ricordò. – Ho capito. Quando mi stavano menando, mentre linciavano Gray … Lo sa che è stato un linciaggio, no? –
- Sì. E so anche del rapporto che le hanno fatto firmare. –
- Ecco. È che quando lo stavano … va be’, lo sa … io ero strisciato lontano dall’auto in fiamme, vicino alla vetrina del negozio che vende elettrodomestici, sa, quello in fondo alla Witcham? –
- Sì, lo so dov’è. –
- E mentre ero lì che vedevo quell’orrore, mentre ero lì che tentavo di capire cosa avevo di rotto, ho guardato dentro alla vetrina e c’erano tutti quei televisori a schermo piatto accesi, una parete intera, e c’erano su tutti le immagini di quella conferenza stampa di Jackson, l’avrà vista anche lei, quella di quando è morto. –
- La presentazione dei concerti. – disse lei con lo sguardo interessato.
- Sì, quella. E quel che restava di Michael Jackson continuava a ripetere ossessivamente “This is it” una volta, due volte, tre volte, non so quante volte l’ha detto. E sarà stato per le botte in testa, sarà stato per la paura matta che avevo, non so, mi sembrava che Jacko parlasse di quello che avevo intorno, mi sembrava che parlasse a me e che mi dicesse “Questo è IT!” e mi faceva paura, una paura fottuta, se mi permette. “Questo è IT!” mi diceva, e io sapevo che parlava di quegli uomini che stavano facendo a pezzi il mio prigioniero, quelli che avevano quasi fatto a pezzi anche me. –
- Capisco. – disse Rachel Uris e sembrò che per un attimo quelle parole avessero detto qualcosa anche a lei. Le avevano fatto paura, le avevano ricordato il volto della madre quando, un’unica volta in vita sua, le aveva parlato della morte del padre, della morte di quel padre che si era suicidato il giorno dopo il suo concepimento rendendola orfana ancor prima di cominciare a esistere. Le sembrò che il Jacko descritto da Stan avesse parlato in realtà anche di quello. Scosse la testa e sorridendo disse: - Capisco. Cosa cercava in tv? –
Stan rimase un attimo interdetto, in realtà stava girando a vuoto col telecomando, solo per passare il tempo, ma la sua bocca parlò da sola. – Il Richard Tozier show. Lo ha mai visto? –
- Sì. – disse lei. – Lo guardo spesso durante i turni di notte. Dovrebbe cominciare proprio tra cinque minuti. – e prendendogli il telecomando cambiò canale mettendo sul 58.
- Anzi … - disse spostando la sedia accanto al suo letto – Se non le dispiace, avendo finito il mio giro, lo guarderei con lei. – e naturalmente Stan non disse no a quel sorriso. Fratture o non fratture non avrebbe mai detto di no a quel sorriso.

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