Archivio blog

venerdì 27 luglio 2012

Quattordicesimo capitolo. Stan e Rachel.

XIV

Naturalmente il programma non riprese dopo la pubblicità, mancava solo un minuto, un paio di battute e i saluti e saltarono senza problemi. Stan e Rachel rimasero lì, davanti alla tv accesa senza dire nulla, entrambi ricoperti di sudori freddi. Quello che avevano visto in tv non era molto normale, la piccola scossa di terremoto che c’era stata mentre Tozier e Dembrough finivano di parlare era stata inaspettata, ma il quaderno del padre di Stan che, come se mosso da una mano invisibile, era saltato per aria ed era caduto in terra mentre le sue pagine si sfogliavano da sole velocemente era stato davvero spaventoso.
- Lo raccolgo? – chiese Rachel.
- Sì. Attenta, però. –
- Certo. - fece tre passi, allungò cautamente la mano e sfiorò il quaderno. - È caldo. – disse, ma questo non stupì poi troppo nessuno dei due. Lo porse a Stan e gli chiese: - Chi lo ha scritto? –
- Mio padre, Mike Hanlon. –
- Quello che hanno citato Tozier e Dembrough, Mike il nero? –
- E se non sbaglio, Stan l’ebreo dovrebbe essere … -
- Mio padre. – rabbrividì e si passò una mano nei capelli. Le tremavano le gambe. – Ma come è possibile? –
Prendendo il quaderno Stan ne guardò la copertina. Non fu sbalordito quanto pensava dal trovarvi una scritta, evidentemente molto vecchia, che solo quel pomeriggio non c’era stata. “Derry: una storia non autorizzata della città.”
- Mio padre era il bibliotecario. Se sei stata in biblioteca avrai visto che l’entrata si chiama “Sala Michael Hanlon” Gliela hanno dedicata tre mesi fa, è morto di tumore al cervello undici mesi fa. –
- Mi dispiace. –
- Anche a me, grazie. Era un brav’uomo, non esagero, si sarebbe buttato nel fuoco per gli altri, ma era anche un grande mistero. Era stato solo, e mi hanno detto molto depresso, fino ai trentotto anni, poi, dopo l’alluvione, sai, quella catastrofica dell’85, ha preso a vivere.
Ha sposato mia madre, sono nato io, si è messo a fare sport e a coltivare un mega orto.
Non mi ha mai parlato della sua vita di prima, mai. A dire il vero penso che no la ricordasse.
Poi due anni fa ha cominciato ad avere dei mal di testa, poi dei tremori. – e mentre parlava Stan accarezzava quel quaderno che il padre aveva scritto molti anni prima – E poi sono cominciati gli incubi. Urlava tutte le notti, mi ha detto mamma, urla orrende, tentava di non dormire, perché diceva che qualcosa lo aspettava di là. A volte, appena sveglio, lo chiamava It. È per quello che mi ha fatto così impressione Michael Jackson che diceva quella frase, penso, perché mi sembrava che ripetesse le parole di mio padre. –
- Quando glielo hanno diagnosticato? – chiese lei tornando a sedersi accanto a lui e poggiando la sua mano su quella di lui che stava sul quaderno.
- Un anno e mezzo fa. Lo hanno operato, poi ha fatto radio e chemioterapia, per un paio di mesi è sembrato che funzionassero, io ero tornato prima per lui e poi in congedo definitivo. –
- E come stava? Si era ripreso bene? –
- Sì e no. Stava bene, per quanto si possa dopo aver vomitato tutti i giorni per due settimane, ma era diverso. Era come … spento. Non aveva più gli incubi, sembrava che ce l’avesse intorno, l’incubo. –
- Era per la malattia? Sapeva quanto era grave? –
- Sì. E pensavo anch’io che fosse per quello, ma … era qualcos’altro, qualcosa di peggio. Me lo ha detto dopo, quando stava di nuovo male.
Delirava, per molto tempo non c’era, poi ogni tanto tornava sé stesso e parlava con noi. Ma per la maggior parte del tempo parlava con persone che non c’erano. – Stan – diceva – chiama gli uccelli, dilli tutti. – ha detto una volta, e poi chiamava Big Bill, che ho scoperto adesso chi era, e mi urlava di non avvicinarmi ai tombini. Aveva paura degli uccelli, poveraccio, una paura fottuta. E io lo capivo, sai? –
- Come facevi? – chiese lei, che però sentendo il nome Stan, suo padre evidentemente, collegato ai nomi degli uccelli, aveva ricordato una cosa della sua infanzia, la volta che mamma e Ethan, il suo patrigno, l’avevano portata all’ospedale per la febbre. Non aveva forse visto … -
- Come facevo? È stato al college, c’era una festa e tutti prendevano ‘ste pillole, quella rossa, quella blu, quella gialla. E poi quella a coccinella, quella a paperella. A me piacque quella a forma di tartaruga, non so perché, ma l’ho presa. –
- Era LSD? –
- O qualcosa di simile. Mi mancano un paio d’ore dopo la pasticca, non c’ero proprio. Mi hanno detto che correvo nel prato in mutande, non so. È possibile, no? –
- Direi di sì. – disse lei sorridendo.
- Comunque l’ho buttata giù, ‘sta tartarughina e subito penso, ma che cazzo, non fa niente, ma poi mi accorgo che non sono più lì con gli altri, sono in mezzo a delle macerie, mi sembrava di essere in quella poesia, Ozymandias, l’hai letta? –
- Guardate alle mie opere o potenti, e disperate! – disse Rachel con voce impostata.
- Ecco. E non è che mi sembrava di essere lì, devi capire, ma c’ero per davvero. E la mia pelle non era così chiara, era nera nera. E così mi rendo conto che sono mio padre. Io ero Mike Hanlon, ero mio padre a dieci anni. E mentre giro per queste macerie enormi mi aggredisce una cosa. Sapevo che era il Rodan, e io personalmente non avevo la minima idea di cosa fosse, ma Mike Hanlon che io ero in quel momento lo sapeva. E quell’uccello enorme, quella sorta di pterodattilo da incubo, mi fa fuggire in una ciminiera. Non sembrava un sogno, devi capire, era vero. –
- E poi? –
- E poi mi sono ripreso coricato sul prato, non so come finisse quella storia, e l’ho dimenticata, pensando che ci fosse qualcosa di psicanalitico, di edipico, capisci, ero mio padre e mi aggrediva un uccello. –
- Capisco. – disse lei sorridendo, ma ora ricordava bene. Aveva avuto le convulsioni e aveva visto, anzi era stata suo padre bambino. C’erano dei bambini morti, in una grande cisterna. Ed era scappato (scappata?) dicendo il nome degli uccelli, i nomi latini.
- Capisci? –
- C’era una cisterna qua a Derry, grande e bianca? – chiese lei.
Stan non capì il collegamento, ma rispose: - Sì. È crollata nell’85. –
- E allora ti capisco molto bene. – disse lei con un sorriso incredibilmente amaro – Credimi, ti capisco anche fin troppo bene. Mio padre fu aggredito lì, da bambini zombi, e si difese urlando i nomi degli uccelli, i nomi scientifici. –
- Cazzo. – disse Stan e rimase per un po’ in silenzio. Poi disse: - Una volta, mentre mio padre delirava su questi uccelli io gli ho detto, non so perché: - E il Rodan, lo hai mai visto? –
- E lui che ti ha detto? –
- Mi ha guardato, pover’uomo, e lo so che sapeva chi ero. Mi ha guardato e mi ha detto: - Se sai questa cosa non è morto. Vattene via da qui, prima che puoi. – e prima che potessi chiedergli spiegazioni si è rifugiato di nuovo nel suo delirio. –
- Non ti ha mai più detto niente? –
- No. È morto una settimana dopo, ma in realtà quelle sono le ultime parole che mi ha detto. –
- Però ti ha lasciato questo. – disse Rachel battendo l’indice sulla copertina lisa del quaderno. –
- Sì. – rispose lui e poi cominciò a piangere.
Rachel gli passò un braccio intorno alle spalle e pensò che era bello stringerlo a sé mentre piangeva. Ma doveva chiedergli una cosa. – Che cazzo era ‘sto Rodan, poi? -

Nessun commento:

Posta un commento