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martedì 10 luglio 2012

Ed ecco il terzo capitolo:

Il capo Harold Gardener era seduto nel suo ufficio con un ventilatore che gli sparava aria calda come l’alito di un ippopotamo, e poco più profumata, sulla sua vecchia faccia di poliziotto a pochi mesi dalla pensione, quelli che nei film muoiono appena dopo aver detto che vogliono portare finalmente la moglie a Parigi. Aveva appena poggiato la cornetta sul telefono e continuava a tenervi su la mano. Stan Hanlon, uno dei suoi migliori agenti, uno di quelli che avrebbe fatto carriera molto presto e che avrebbe girato in borghese, lo aveva appena chiamato e, con una voce che sembrava provenire dall’Oltretomba gli aveva comunicato che aveva trovato le due bimbe, morte, che aveva preso Paniska, morto anche lui, che aveva catturato e teneva in custodia Gray, vivo e illeso, e che aspettava i rinforzi e la scientifica davanti al giardino botanico.
Stan gli aveva raccontato per sommi capi la scena che si era trovato davanti entrando nel giardino botanico e mentre lo faceva si era messo a piangere. Hanlon, che aveva fatto un periodo di ferma in Afganistan e che aveva visto esplodere su una mina i suoi compagni, Hanlon che era un tiratore scelto e che aveva ucciso un buon numero di teste di stracci senza battere ciglio.
Gli aveva detto come erano le bambine, gli aveva detto che Allison respirava ancora, non dalla bocca, che non aveva più, ma dal collo squarciato a morsi. Anzi, gli aveva detto che Allison aveva respirato ancora, per poco, due o tre respiri, poi aveva smesso.
A morsi. Gli tornò in mente un caso di molti anni prima, quando era un giovanotto di belle speranze e Derry non era quella sorta di rudere che era adesso, prima del disastro dell’85. Avevano ucciso un frocio, un poveretto che stava camminando abbracciato al suo compagno. Lo avevano accoltellato, picchiato, morsicato strappandogli pezzi di carne e poi lo avevano buttato giù nel canale. Mellon. Sì, si chiamava Mellon.
Cosa gli aveva detto il suo compagno? Aveva detto un sacco di cazzate, povero stronzo, era sotto shock e non capiva più un cazzo. Aveva detto che c’era un clown, che era stato il clown a uccidere Mellon, e che quel clown era Derry. Perché Derry era cattiva, perché Derry era marcia.
Avrebbe voluto che Derry fosse ancora così cattiva, cazzo. Quello stronzo di Gray non poteva cavarsela con l’ergastolo, magari in manicomio a vedersi le sit-com insieme agli altri pazzi seduto in sala mensa. Cazzo, no! Una volta Derry avrebbe saputo cosa fare, la Derry di un tempo avrebbe saputo cosa fare, cazzo. Come avevano fatto negli anni Trenta con quei gangster, glielo aveva raccontato una sera proprio il padre di Hanlon, quello strambo bibliotecario che parlava sempre della storia della città, quello che era morto l’anno prima.
La vecchia Derry non avrebbe aspettato un giudice, no. Sollevò la cornetta guardando la sua mano come se fosse stata la mano di un altro, chiamò il centralino e disse: - Passami le squadre di ricerca.-
Quando Norma Jean, povera ragazza che nome idiota, gli passò le squadre si chiese cosa avrebbe detto, probabilmente di tornare alla centrale per comunicazioni, e invece si sentì dire che le bimbe erano morte. Sì, lo disse così. Le ha uccise, Gray le ha uccise. A morsi le ha uccise, le ha mangiate vive. Chiedendosi cosa stesse facendo e pensando nel frattempo che molti di quegli uomini avevano mazze da baseball e asce, che pensiero assurdo, disse che l’assassino era al giardino botanico. Era al giardino botanico con un solo agente. Erano davanti al giardino botanico, soli, l’agente e quel porco pedofilo di merda che aveva mangiato vive due bambine. Passò e chiuse. E rimase lì a guardare la sua mano che stringeva ancora la cornetta del telefono. Gli sembrava davvero la mano di un altro. La poggiò e tirò fuori dal cassetto la sua bottiglia di bourbon, sì, l’aveva davvero, come nei film. Si versò un bicchiere e rimase in attesa, in attesa del risveglio della vecchia Derry, quella che mordeva per uccidere.
E fu allora, mentre il bourbon gli scendeva giù per la gola, che Harold Gardener si rese conto che finalmente, a cinquantanove anni, aveva capito chi era. Harold Gardener era un vigliacco.
Non aveva preso un fucile per andare a freddare quel porco schifoso come avrebbe voluto fare per tutta la vita suo padre con il mostro che aveva strappato un braccio a un bambino nel ’57, bambino che gli era morto tra le braccia. Non aveva neanche dato l’ordine di farlo ai suoi uomini, e sì che ce ne erano almeno sette o otto che non aspettavano altro.
No. Aveva detto e non detto. Aveva fatto in modo che la gente potesse dare sfogo alla sua bestialità, ma lui ne usciva pulito. Se ne era lavato le mani.
Anzi, no. Non ne sarebbe uscito pulito, proprio no. Lì con Bob Gray c’era Stan Hanlon. Gray era nelle mani di Hanlon. Gray era affidato a Hanlon. Per quanto l’assassino di bambine gli facesse schifo, Hanlon lo avrebbe protetto a costo della sua stessa vita, perché Hanlon non era un vigliacco.
Come suo padre prima di lui, un tranquillo bibliotecario che nell’85 si era difeso coraggiosamente da un enorme pazzoide che lo aveva accoltellato per vendicarsi di chissà quale torto subito nell’infanzia, il giovane Hanlon non era assolutamente un vigliacco. Lui e suo padre spiccavano tra la popolazione di Derry più per quel qualcosa nello sguardo e nella postura che per il colore della loro pelle.
E questo avrebbe probabilmente portato Hanlon a morire quella notte, fatto a pezzi dai suoi concittadini per difendere un mostro.
Mentre si puliva le mani rese appiccicose dal bourbon che aveva versato bevendolo con le mani un po’ tremanti, Harold Gardener pensò che ce ne sarebbero volute un bel po’ di quelle salviette umidificate per ripulirsi le mani dal sangue di quell’innocente.

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