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lunedì 23 luglio 2012

Decimo capitolo, Bill.

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Sandra Smith, la sua agente, gli aggiustò il colletto della camicia con la disinvoltura che può avere solo chi è stato a letto con te, pensò Bill guardando il timer che diceva quanto mancava al suo ingresso in scena. Ed effettivamente era successo, dieci anni prima per cinque o sei volte e l’anno scorso un altro paio, dopo che lei aveva divorziato. Per fortuna non aveva rovinato la loro amicizia, non era stato sesso così bello da valere quella perdita.
- Sei pronto? – gli chiese ritoccando di nuovo il colletto.
- Come il toro prima di entrare nell’arena. – rispose lui.
- E dai! Lo sai che serve! –
A te, forse. Pensò lui, poi sorrise e disse: - Sono pronto. – e allargò il sorriso come un politico quando promette di abbassare le tasse.
La cosa a cui Bill Dembrough doveva essere pronto era l’intervista di dodici minuti al Richard Tozier show, in occasione del lancio del suo nuovo libro, una raccolta di racconti non horror incentrati sulle diverse stagioni della vita. Un’intervista in tv. Bill odiava le interviste in tv, perché odiava andare in tv.
Quello che noi vediamo in tv è solo una minima parte di ciò che accade in uno studio televisivo, aveva imparato Bill negli anni, e se andiamo lì con delle aspettative, esse saranno sicuramente deluse. Prendiamo quel programma lì, per esempio. Bill amava vedere il Richard Tozier show, perché il conduttore gli era simpatico. Avevano la stessa età, lo stesso accento, del New England, e usavano a volte gli stessi modi di dire, farsi cretine come “Puoi scommetterci la testa” e “A tutte l’ore alligatore”. A volerla dire letterariamente il Richard Tozier aveva su Bill Dembrough un effetto da Madeleine proustiana. Gli bastava sentirlo parlare per qualche minuto e subito lui si sentiva giovane e pieno di forza, pronto ad aggredire il mondo.
E ora … ora che era lì e vedeva il programma da dietro alle quinte, tutti i trucchi erano svelati. Vedere un programma tv dal vero gli faceva l’effetto degli spettacoli teatrali di Brecht che aveva visto all’università. Bill Dembrough amava la verosimiglianza, anche se nei suoi libri narrava quasi sempre di mostri che risorgevano dalle tombe, e la amava perché gli piaceva potersi immedesimare in quello che vedeva o leggeva dimenticando il palco o lo schermo cinematografico davanti a lui, o il libro che teneva in mano. Per questo aveva odiato i tizi che passavano sul palco con cartelli in mano tipo video di Bob Dylan dei tempi che furono.
E ora, qua era uguale: la mitragliata di battute che Tozier diceva a inizio programma? Erano scritte su un cartello bello grosso, Tozier doveva essere cieco come una talpa, e il conduttore le leggeva anche con una certa fatica. E non sembrava manco tanto simpatico, visto da lì. Aveva risposto molto male a un assistente di studio e aveva trattato male anche un truccatore. Sembrava un vecchio che avesse dormito poco, e dato che anche lui era nelle stesse condizioni, Bill pensò che avrebbe potuto uscirne una bella lite che avrebbe girato su Youtube per qualche millennio o giù di lì.
E poi Bill aveva un altro problema, che Sandra ignorava come quasi tutti gli altri che lo conoscevano, Cristo, a volte sembrava dimenticarselo anche lui. Bill balbettava, Bill Tartaglia lo chiamavano da piccolo, un brivido gelido a questo pensiero, strano, e l’unico modo di non farlo era parlare lentamente. Che a farlo con la gente normale passi per un pensatore, ma durante un’intervista con uno come Tozier, bene che vada sembri un fesso.
E le domande poi. Con gli anni era diventato scorbutico, come tutti i vecchi, ma per lui era stata una grossa sorpresa, perché era il primo Dembrough a superare i quarantacinque anni da un secolo a questa parte e non aveva mai avuto a che fare con i vecchi, non abbastanza da conoscerli bene e così si stupiva del cattivo carattere che gli era venuto. Se a ventitre anni aveva reagito ridendo alla domanda “Ma da dove le vengono le idee?” e a quell’altra peggiore, “Ma perché scrive horror?”, e a quarant’anni non aveva riso ma aveva abbozzato una spiegazione abbastanza divertente, se quelle domande gli fossero state rivolte da Tozier di lì a qualche minuto, sarebbero potuti finire in terra a darsi dei pugni, davanti a milioni di telespettatori in tutta la Nazione.
Mentre pensava queste cose gli passò accanto un tizio che aveva appena fatto una scenetta buffa con Tozier, era vestito da clown e arrotolava palloncini in forma di animale, ma sembrava sempre che la forma fosse quella di quel coso che pende tra le gambe di tutti i maschietti. Il numero era in sé penoso, pensò Bill, e Tozier era sembrato sul punto di sentirsi male mentre diceva le sue battute che leggeva sul cartello. Era sbiancato sotto al cerone e si era dovuto appoggiare al tavolo con una mano. “Speriamo che non mi muoia davanti.” pensò Bill alle undici meno un quarto quando il clown gli era passato accanto, come ho già detto,e gli aveva offerto sorridendo un palloncino rosso.
- George. – disse Bill sentendo che le gambe gli cedevano. Dritto in piedi tra la sua agente e l’assistente di studio Bill Dembrough ricordò all’improvviso suo fratello morto dopo l’alluvione del ’57, suo fratello a cui qualcuno, o qualcosa, aveva strappato un braccio e si allontanò disgustato dall’uomo truccato da pagliaccio.
- Va tutto bene, Bill? – gli chiese Sandra.
- Sì. – le rispose strizzando forte gli occhi e sperando che bastasse per non svenire mentre la sua memoria veniva alluvionata da una serie infinita di ricordi. Tutto quello che si era sdoppiato davanti a lui tornò a riunirsi in una visione unica e Sandra, preoccupata per Bill ma evidentemente più preoccupata per il suo venti per cento sui guadagni del libro che doveva pubblicizzare, lo spinse in scena.
E così, alle otto meno dodici, mentre una cosa senza forma e senza nome sfrecciava nelle tubature sotto a Derry, Bill Dembrough si trovò di fronte Richie Tozier che gli tendeva la mano e pensò che dopo tutto Boccaccia non era cambiato poi troppo dalla loro infanzia.

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