Archivio blog

domenica 8 luglio 2012

Ed ecco il secondo capitolo del mio omaggio a It, intitolato IL COSO.
Questo secondo capitolo si potrebbe intitolare "La confessione di J.D."

II

Stanley Edward Hanlon, Stan per gli amici, stava girando per Witcham Street quando gli si parò davanti un uomo così stravolto che sembrava uscito da un racconto di Edgar Allan Poe. Nel buio della strada la torcia illuminò i suoi occhi sbarrati che spiccavano su di un volto talmente terreo che Stan pensò di essere stato catapultato in uno di quei film di zombie che andavano tanto di moda da un po’. Durò un attimo, poi riconobbe l’uomo che aveva di fronte e gli puntò addosso la pistola, - J. D. Paniska, mani in alto! – gridò a quel rimasuglio tremante e sudaticcio – Sei in arresto per il rapimento di Allison e Louise Chambers! –
Erano queste ultime due gemelline di sei anni che erano scomparse dal loro giardino sul retro una decina di ore prima, non senza che una anziana vicina impicciona avesse preso nota dell’auto su cui erano state fatte salire a forza. L’auto di J. D. Paniska appunto, che aveva precedenti per droga, taccheggio, atti osceni in luogo pubblico e molestie alla sua cuginetta di nove anni.
Era scattata una imponente caccia all’uomo, imponente almeno per una cittadina come Derry che solo negli ultimi otto o nove anni aveva cominciato a riprendersi lentamente dal nubifragio del 1985 in cui buona parte della città era stata inghiottita in una voragine di fango. Almeno cento persone, soprattutto giovani uomini armati di pistole, mazze da baseball e asce, il Maine era e in effetti è ancora terra di boscaioli, giravano da allora per le strade della città con in mano una foto del mostro. Mostro che un informatore frollato per bene dagli investigatori, uno arrestato alcune volte con Paniska nella zona guardoni di fronte alla finestra degli spogliatoi della palestra della scuola elementare di Derry, aveva detto girare ultimamente con un pazzoide pericoloso, tale Robert Gray di anni trentotto, che aveva fatto per alcuni anni il clown nelle feste di compleanno dei bimbi prima di essere sorpreso con uno dei suddetti bimbi in braccio, ma senza alcun paio di calzoni a dividerli.
Il Gray da allora sembrava essersi dato una calmata ed era andato a lavorare al macello al reparto foratura crani da dove era stato allontanato pochi mesi prima quando i superiori si erano accorti che spaventava apposta le bestie prima di ucciderle, cosa che se non colpiva i loro teneri cuori, li disturbava però molto perché delle vacche spaventate dalle urla delle loro compagne si agitano e sono molto difficili, e pericolose, da condurre al mattatoio.
Mentre tutto questo ripassava nella mente del nostro Stan, il sempre più terrorizzato e tremante J. D. fece una cosa che lui non si sarebbe mai aspettato. Il mostro della città si gettò infatti in ginocchio e strisciando come un cane bastonato venne davanti a lui piangendo e pregandolo di aiutarlo.
- Alzati, Paniska. – gli disse temendo che quel coso venisse ad abbracciargli le ginocchia come un Ulisse appena uscito dal mare – Alzati e smettila di frignare! –
- Mi aiuti, agente! – disse Paniska mentre lui lo ammanettava dietro alla schiena e lo conduceva all’auto di servizio pensando solo che doveva chiamare aiuto via radio. Ma Paniska disse una cosa che lui non si sarebbe mai aspettato. Non disse di essere innocente, non disse di essere una vittima del sistema, non disse di essere stato rapito dagli alieni durante una tormenta di neve causata da un’invasione di cavallette. Disse: - Se non perde tempo a chiamare i soccorsi potrebbe ancora salvarla. –
- Chi? –
- Allison. – rispose Paniska. - Quando ce l’ho fatta a scappare era ancora viva. –
- È con Gray? – gli chiese facendolo sedere dietro – E Louise? –
- Lei è … - disse Paniska, poi si interruppe perché preso da dei conati di vomito. Tossì e scatarrò e poi si vomitò addosso, e sul sedile, della bava e dei pezzetti di qualcosa, carne forse. Poi alzò lo sguardo e disse: - Ora è morta. Finalmente è morta. – poi fu preso dai brividi e parve quasi essere colto da una crisi epilettica. – Io non volevo. – disse – Mi ha costretto. Lui è … Lui non è normale, mi ha costretto. –
Ecco, ci eravamo arrivati, pensò Stan, prima o dopo arrivano tutti a dire che non volevano e non era colpa loro. – Cosa ti avrebbe costretto a fare? – disse sperando che facesse in fretta. Doveva chiamare i rinforzi e andare a cercare Gray e la bambina, ma prima doveva sapere dove erano.
- Io non volevo. A me i bambini piacciono, non voglio fargli male. Ma lui … è pazzo, pazzo non è normale, l’ha mangiata viva, le strappava pezzi di carne dalle braccia, le ha mangiato un orecchio! –
- Cosa ha fatto? – urlò all’uomo che tremava sempre di più.
- L’ha mangiata viva! Morsicava e mangiava, rideva sentendola urlare! –
- E tu … -
- Mi ha costretto. L’ho dovuta mordere anch’io, mi ha detto che dovevo farlo per lui e per suo padre. –
- E chi sarebbe suo padre? – ci mancava solo che ce ne fosse un altro.
- È una voce che gli parla, è quello che lo ha salvato anni fa, non me lo ha mai detto. A volte gli parla, è pazzo, glielo ho detto, agente, non è normale. –
- E tu la hai morsicata? –
- Se no mi avrebbe mangiato. Lo ha detto e lo avrebbe fatto. –
- Dove è? –
- Al giardino botanico, nella zona della macchia mediterranea. – disse l’uomo e poi rimase come bloccato, come se la paura e la tensione gli avessero mandato in tilt il cervello.
Stan sapeva che avrebbe dovuto chiamare i rinforzi, certo, ma quel pazzo forse stava mangiando la faccia a una bambina, ora. E il giardino botanico era lì, all’angolo della strada, dove c’era stato il centro commerciale fino al maggio dell’85. Se in Afganistan aveva affrontato tutti quei talebani, non sarebbe certo stato Bob Gray a fargli paura. Aprì la portiera e scese dall’auto, ma quando stava per richiudere sentì la voce di J. D. Paniska. – Stia attento, agente. – disse con una voce estremamente calma, una voce da cadavere rianimato, stile Mr. Valdemar di Poe – La bimba diceva che lui era un lupo mannaro, gridava che era un lupo mannaro. –
- Sì, va bene Paniska. – disse ricominciando ad accostare la portiera, aveva fretta e non poteva stare ad ascoltare quel pazzo.
- E io l’ho guardato bene. Aveva le zanne lunghe e gli occhi gialli. Ed era peloso come un lupo. Non sono matto, mi creda. Era così. –
Lo disse così seriamente che per un attimo Stan pensò che potesse essere vero, gli ricordava qualcosa che suo padre aveva detto quando il tumore al cervello aveva cominciato a farlo delirare. Cazzate! Corse verso il giardino botanico, sapeva bene dove era l’entrata e vi arrivò proprio mentre il cielo si apriva rivelando una luna piena che sembrava un teschio. Come suo padre aveva fatto tanti anni prima infilandosi in una fogna in cerca di un mostro, Stanley Edward Hanlon entrò nel giardino botanico, con la pistola in mano e il terrore nel cuore.

Nessun commento:

Posta un commento