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domenica 15 luglio 2012

Ed ecco il quarto capitolo. Buona lettura!

IV

Quando si svegliò per un attimo rimase con gli occhi chiusi a galleggiare sul letto. Dovevano essere gli antidolorifici. Poi cominciò a sentire i dolori, al volto, all’occhio destro, al braccio destro, a quello sinistro, a ogni respiro alle costole, al fianco e alla gamba sinistra. Ringraziò Dio per gli antidolorifici, ringraziò i chimici per averli sintetizzati, ringraziò i contadini che andavano a incidere i frutti del papavero, perché anche intontito come era stava soffrendo come un cane.
- Agente Hanlon? – gli chiese una voce sopra di lui – È sveglio, agente? –
- Sì. – disse, ma doveva sembrare più che altro un mugolio. Tossicchiò sentendo un male atroce alle costole e lo ripeté. – Sì. Sono sveglio. – aprì gli occhi, l’occhio, anzi, il destro era proprio chiuso, e vide di chi era la voce. Un nero enorme e magro, sembrava quello di Spartacus, quello che lasciano appeso a testa in giù. Moriva anche in un film di Leone, se non si confondeva.
- Sono l’agente Welsh. – disse l’uomo mostrando un tesserino dell’FBI.
- E non è gallese. – disse Stan che non sapeva bene quali pensieri gli rimanessero in testa e quali venissero invece emessi dalla sua boccaccia.
- No. Vengo del New Jersey. – disse l’omaccione e rise. Poi aggiunse: - Torno dopo. Quando starà meglio dovremo parlare un po’ di alcune cosette. –
- Ho colpito qualcuno? – chiese afferrandogli una manica con la mano sinistra, aveva due dita ingessate anche lei.
- No agente Hanlon. Ha ferito un tizio, ma non ha ucciso nessuno. –
Stan tentò di dire qualcosa, parve risprofondare nel sonno e poi disse: - Come Mussolini. –
- Cosa? –
- Lo hanno appeso come Mussolini, lo ha mai visto quel filmato? –
L’agente Welsh annuì e disse: - Dorma, agente, ora chiamo sua madre. –
E così, mentre Carole Danner entrava nella stanza dalle pareti bianche e blu e si sedeva accanto a suo figlio che era stato quasi linciato, Stan ripiombava nel torpore sognando di essere di nuovo in strada. La luna illuminava tutto e …

La luna illuminava tutto, ma passava attraverso i vetri del giardino botanico e tra le foglie degli alberi, così che tutto sembrava maculato come il mantello di un dalmata e Stan non era affatto sicuro di quello che vedeva.
Avanzò camminando piano, le suole che crepitavano appena sul vialetto di ghiaia fine e compatta, passando attraverso la zona della foresta pluviale, con le farfalle notturne che gli passavano accanto con quel loro ronzio appena accennato, poi attraversò la zona del deserto, a destra quello africano e a sinistra quello di Sonora o qualcosa di simile, cactus e roba simile da ogni lato, fino ad arrivare alla zona della macchia mediterranea.
I vetri sul soffitto erano stati rimossi come sempre nella bella stagione, per permettere alle povere piante, tanto lontane dal loro clima abituale, di prendersi almeno un po’ di sano sole del Maine. Passò tra ginepri, allori, rosmarini e altre piante aromatiche, vedendo finalmente, a una decina di metri da lui, una forma non meglio identificata riversa in terra. Si avvicinò tentando di non fare rumore mentre calpestava il suolo ricoperto di erba e foglie di ulivo, trattenne il respiro girando su sé stesso con la sua Beretta stretta tra le mani, e si accucciò accanto alla bimba. Era morta, alla luce della luna piena il sangue che la ricopriva sembrava nero come il petrolio. Non aveva la faccia. Sentì nella bocca il sapore acido della sua cena di un’ora prima, un hot dog davvero indegno del suo non già degnissimo nome. Avanzò ancora stando per quanto possibile dietro a una pianta, ligustro diceva un cartellino che pendeva da un ramo e che la luna illuminava perfettamente.
Qualcuno parlava, un po’ più avanti. Camminò ancora più lentamente, in un silenzio che era in realtà solo uno stormire di foglie nella brezza della notte. C’era un altro corpo in terra. Era Allison, respirava ancora. Bolle di sangue le uscivano dallo squarcio che aveva nel collo, proprio sotto a dove avrebbe dovuto esserci la faccia. Uscirono un paio di bolle, poi vi fu un tremito e poi basta. Era morta in terra, sotto a un ligustro. Per quanto sapesse di non doverlo fare si accucciò per guardarla. Le ferite sulla faccia, sul davanti della testa, in effetti, erano morsi. Non sembravano morsi umani, non esistono denti umani così grandi. Ripensò a quello che aveva detto Paniska, J. D. Paniska che adesso se ne stava sul sedile posteriore della sua auto di servizio, con il braccio sinistro ammanettato alla maniglia sopra alla portiera: - Aveva le zanne lunghe e gli occhi gialli. Ed era peloso come un lupo. Non sono matto, mi creda. Era così. – per un attimo non gli sembrò così assurdo. Sentiva ancora la voce davanti a sé. Era in mezzo a degli alberi di olivo, formavano come un cerchio del diametro di una decina di metri e quello che parlava vi stava inginocchiato in mezzo. Parlava alla luna.
- Ti prego. – disse, poi rimase fermo in silenzio ad ascoltare una risposta. – Ho paura, ho molta paura. Ti prego! – disse di nuovo e la sua voce sembrava tremare per trasformarsi in pianto.
- Ti prego di evitarlo, se puoi. – e di nuovo rimase in silenzio, poi abbassò la testa, respirò profondamente e infine disse: - Come tu desideri, mio Signore. – alzò le braccia come un sacerdote dell’antichità e ripeté: - Avvenga quello che tu desideri, mio Signore. – poi rimase fermo a guardare la luna ancora per cinque o sei secondi.
- Salve agente! – disse all’improvviso senza voltarsi – Agente Stanley Edward Hanlon, figlio del bibliotecario Michael Hanlon detto Mike. I figli degli amici di mio padre, sono miei amici. – disse e si alzò tenendo le mani in alto. Si voltò lentamente e Stan per un attimo pensò di essere impazzito. Era Hannibal Lecter. Da piccolo aveva visto il Silenzio degli innocenti e aveva avuto gli incubi per dei mesi, appena si addormentava si vedeva accanto Hannibal, non Anthony Hopkins, proprio il vero Hannibal Lecter, di cui il bravo attore era solo un’approssimazione. Si svegliava sempre urlando un attimo prima che quello gli mangiasse la faccia. Alzò la pistola per sparargli e si accorse del suo abbaglio. Era Gray, simile a come lo aveva visto nelle foto segnaletiche. Un po’ più grasso, forse. Era truccato da clown, con una grande bocca sorridente rossa e la faccia bianca.
- Mani alto, Robert Gray! – disse mettendosi in posizione di tiro, la pistola tra le due mani e le gambe larghe con la destra più avanzata – Sei in arresto per l’omicidio di Allison e Louise Chambers. –
Gray rise e disse: - Stanley, ragazzo mio … ho già le mani in alto. – e rise di nuovo.
- In ginocchio, mani dietro alla schiena! – disse guardandosi intorno per essere sicuro che non vi fosse nessun altro con loro, mentre l’assassino obbediva al suo ordine continuando a ridere.
- Mio padre mi aveva detto che saresti venuto te. – disse mentre Stan lo ammanettava.
- Tuo padre lavora in una segheria in Rhode Island e dubito che sappia della mia esistenza, Gray. – gli disse chiudendo il secondo braccialetto di acciaio nichelato e tirandolo in piedi senza troppa gentilezza. – Hai il diritto di non parlare e hai diritto ad un avvocato … - gli stava dicendo mentre si ricordava di non aver letto i suoi diritti a Paniska, cazzo, quando Gray disse: - Stai tranquillo, Stanley, niente di quello che ti dirò potrà essere usato contro di me in tribunale. Io morirò stasera. –
- Tu marcirai in cella, Gray, e ogni detenuto del tuo carcere verrà a visitare il tuo culo prima di andare a dormire, se esiste un po’ di giustizia a questo mondo. –
- Mio padre non lo permetterà. Mi ha salvato già una volta tanti anni fa e stasera, dopo che gli donerò me stesso, mi terrà per sempre con lui. –
Stan lo guardò chiedendosi come quell’ometto precocemente calvo e tendente alla pinguedine avesse potuto spaventarlo tanto solo pochi minuti prima e lo spinse avanti di malagrazia.

- E così dopo averlo ammanettato l’ho condotto attraverso il giardino botanico verso l’auto di servizio. – disse all’agente Welsh, che era tornato dopo un paio d’ore trovandolo molto più sveglio e impegnato in una discussione con la madre che gli diceva che doveva mangiare. Quando lei era uscita dalla stanza aveva ringraziato l’agente dell’FBI per averlo salvato.
- Bene Hanlon, ho capito. Ora mi spieghi bene cosa è successo dopo. –
- Allora … - disse grattandosi il naso con una delle poche dita ancora intere che aveva – Mentre camminavamo Gray canticchiava una qualche canzoncina da bambini, non ho capito quale perché la cantava a bocca chiusa. A un certo punto mi ha detto qualcosa di strano, come , non so, ecco: “Sarà dura per tutti e due, Stan. Ma per Derry andrà meglio.” –
- Derry? La città? –
- Penso di sì. Non ho capito cosa intendesse. – comunque siamo usciti dal giardino botanico e ci siamo avvicinati all’auto, e ho visto subito che c’era qualcosa di strano nel modo in cui era seduto Paniska. –
- Cosa aveva notato? –
- Era appoggiato al vetro, non so, come se stesse tentando di sfondarlo con la spalla. Così ho detto a Gray di inginocchiarsi e mi sono avvicinato al’auto. E l’ho visto. Aveva infilato in qualche modo la testa tra la portiera e il braccio ammanettato e, non so proprio come abbia fatto, Dio, si era impiccato usando il suo braccio come cappio. –
- Il suo braccio? –
- Sì, lo so. Non so davvero come abbia fatto. Mi era sembrato incredibilmente calmo quando lo avevo lasciato lì, forse avrei dovuto capire … -
- E poi? – chiese Welsh.
- E poi Gray ha detto … -

Gray disse: - povero J. D. era un caro ragazzo, ma non ha mai capito niente di quello che facevamo. –
Stan si girò verso di lui con gli occhi sbarrati e gli chiese: - E cosa facevate? Uccidevate bambini, e prima li stupravate. –
Gray rise, con quella faccia sporca di sangue, sotto la luce arancione dei lampioni, sembrò davvero un clown per un attimo. – Tutto quello che abbiamo fatto serviva per il ritorno di mio padre. Anche il tradimento di J. D. è servito a quello. Anche il mio arresto da parte sua, agente Hanlon. Anche la morte di suo padre è servita a quello. –
Stan lo afferrò per un braccio e lo gettò nell’auto, accanto al corpo di Paniska. Poi chiamò via radio la stazione di polizia e parlò direttamente col capo Gardener raccontandogli tutto. Finì la chiamata dicendo che rimaneva lì in attesa di rinforzi. Gray rise sentendo quest’ultima frase.
– Spero che non ti dia fastidio averlo vicino. – gli disse Stan.
- Ah, no di certo. Ho già viaggiato con dei morti, e sono già stato vicino a Paniska dopo che aveva pisciato sul sedile. Quando me lo sono fatto quindici anni fa, era un così bel bambino, pisciò sul sedile di dietro e farlo lavare mi costò trenta dollari. –
- Sarà un bel prezzo per averti preso. – disse Stan.
- Il prezzo del tradimento. – disse Gray ridendo, poi aggiunse – Ma nessuno pagherà per far lavare quest’auto. Non si lavano le carcasse bruciate. –
- Ma che cazzo stai dicendo? – gli chiese.
- Tra poco lo vedrà. Ancora un attimo di pazienza. Tutto per mio padre. – e si voltò a guardare la luna sorridendo. – Fu mio padre a segnalarmi J. D., sa? Ed è stato sempre lui a parlarmi di te, di tuo padre e di quei perdenti dei suoi amici. –
- Di chi parli? –
- Ah sì, tu non lo sai ancora. Leggi il quaderno di tuo padre, quello in biblioteca. Li troverai molte risposte. –

- Eh quale sarebbe questo quaderno? – gli chiese Welsh.
- È lì. – rispose Stan – Ho chiesto a mia madre se ne sapeva qualcosa e lei lo ha fatto portare dal suo vice. Era in cassaforte in biblioteca, mio padre ha lavorato lì per una quarantina d’anni. –
Welsh prese il vecchio quaderno dalla copertina nera e lo sfogliò. – Ma è totalmente vuoto. – disse l’agente sfogliandolo in avanti e in dietro – Tutte pagine bianche. –
- Sì. Ma guardi bene. Gli angoli sono sciupati, i fogli sono consumati, qua e là vi sono anche delle cancellature che hanno assottigliato il fogli. Sembra un quaderno molto usato. –
- È vero. – disse Welsh poggiandolo di nuovo sul comodino accanto al letto. – E poi cos’è successo? –
- Ho visto un paio di persone che arrivavano dalla Witcham, due uomini armati di mazze da baseball. Prima che potessi scendere per identificarli, Gray mi ha distratto per dirmi una frase davvero strana. Sudava moltissimo, moriva dalla paura ma sembrava anche incredibilmente felice, elettrizzato, direi. –
- E cosa le ha detto? –
- Ha detto: “Arrivederci, Stanley Edward Hanlon. Ci vediamo dall’altra parte.” Poi ha aggiunto una cosa che non ho capito: “Ricordati del Richard Tozier show!” –
- Quello che danno in tv? –
- Penso di sì. Quando ho smesso di guardarlo, mi aveva così stupito che gli occhi mi stavano per cadere in terra, solo allora ho visto che l’auto era circondata. Saranno stati cento o poco più, tutti con mazze e asce in mano. E allora sono sceso e …

Stan scese dall’auto aprendo la fondina e appoggiando la mano destra sulla Beretta. C’erano un centinaio di persone intorno all’auto, forse di più. Erano armati di mazze, asce, alcuni anche fucili e pistole, ma la maggior parte avevano armi bianche. Stavano disposti su un cerchio del diametro di una quindicina di metri, tipo zombie dei film, sapete no, tipo Notte dei morti viventi.
Stan girò su sé stesso facendo notare chiaramente che aveva una pistola e che poteva tirarla fuori prima che potessero raggiungerlo. Finito il giro sbirciò un attimo nell’auto, J. D. era sempre morto e Robert Gray guardava fuori dal finestrino con gli occhi sbarrati mormorando qualcosa, forse una preghiera a quel suo famoso padre.
- Tra poco arriveranno i rinforzi. – disse ad alta voce sperando che le sue parole risultassero calme e sicure. – Li abbiamo presi. È tutto finito. –
Nessuno gli rispose, ma fecero un passo in avanti. Il cerchio era più stretto adesso, gli sembrava che cominciasse a mancare l’aria.
- Gray ha confessato. Andrà in galera per sempre. – disse guardando un uomo che teneva in mano un’enorme ascia. Era il consigliere comunale Smithson. – tra pochi minuti lo porteremo in centrale.-
Ancora nessuna risposta, ma quelli alle sue spalle si avvicinarono di un altro passo. Quando si voltò verso di loro estraendo la pistola e armandola, anche gli altri fecero lo stesso. Erano molto più vicini.
Fece un passo indietro fino ad appoggiare le natiche alla portiera dell’auto muovendo la testa da un lato e dall’altro per controllarli tutti. Muovendosi all’unisono fecero un altro passo verso di lui. Vide il padre delle bambine alla sua sinistra, aveva una mazza da baseball di legno, doveva essere molto vecchia, come molte cose lì a Derry.
- Signor Chambers, è finita, lo abbiamo preso. Paniska è morto e non farà più male a dei bambini. È finita. – e si asciugò con la manica sinistra il sudore che gli scendeva sulla fronte. Mentre lo faceva fecero un paio di passi verso di lui. Poteva sentire il rumore dei loro respiri, la puzza di sudore di un centinaio di uomini che hanno girato per dieci ore sotto al sole estivo con armi in mano e il terrore nel cuore.
Sollevò la pistola sopra alla testa poggiando vistosamente il dito sul grilletto. Non sparò, qualunque rumore avrebbe potuto scatenare la rabbia. – Andate a casa. È finita, i due rapitori sono stati presi. – Tornate alle vostre case! – e mentre diceva così il signor Chambers si avvicinò di un altro passo.
- Signor Chambers, capisco cosa prova, ma si allontani subito! – disse stringendo di più la pistola e appoggiando il manganello sul tetto dell’auto. Gray continuava a mormorare le sue preghiere e le lacrime, o il sudore, gli avevano scavato dei solchi nel sangue che gli incrostava il viso.
- Ci faccia passare, Hanlon. Non abbiamo nulla contro di lei. – disse Chambers fissandolo con uno sguardo che era però tutto meno che indifferente nei suoi confronti – Se ne vada e ci faccia fare il nostro dovere. –
- Sa bene che non posso, Chambers. – gli rispose vedendo che tutti avevano fatto un altro passo verso di lui. Erano a sì e no tre metri, forse tre metri e mezzo. Allungando una di quelle mazze lo avrebbero quasi sfiorato – Dovrò sparare, se non vi allontanate. E lo farò, credetemi. Tornate a casa e facciamola finita, non deve finire per forza così. –
- Me le ha uccise, Hanlon, le ha fatte a pezzi. – disse Chambers – Togliti di mezzo e fammi fare quello che va fatto. –
- No, Chambers. No! – e alzò la pistola verso il cielo pronto a sparare in aria, sperando che i soccorsi mandati dal capo Gardener arrivassero prima di subito.
- Togliti di mezzo, Hanlon. Non metterti tra me e quello schifo. –
- No. –
- Vattene, ora! –
- No. –
- Togliti dal cazzo, negro di merda! – urlò un uomo alla sua destra, Harlan Bowers, se aveva riconosciuto la voce, e tutti fecero un altro passo avanti alzando le loro mazze. Schiacciò il grilletto e lo sparo risuonò nelle vie deserte intorno a loro. Mentre abbassava la pistola puntandola ad altezza d’uomo li vide finalmente indietreggiare di un paio di passi. Gli sembrò di respirare meglio. – E ora andatevene via tutti. – disse e gli sembrò che nei loro occhi fosse cambiato qualcosa, lo sparo li aveva come scossi da una sorta di autoipnosi collettiva. Alcuni di loro si allontanarono ancora, mazze e asce si abbassarono andando quasi a sfiorare il suolo. Fu allora che Gray urlò fuori dal finestrino semiaperto.
- Gridavano quelle due troiette! Uh, se gridavano, mentre gli mangiavo la faccia. Gridavano e piangevano! – più che una voce umana sembrava il raglio di un asino, pieno di gioia folle e di terrore.
- Cazzo! – borbottò tra sé e sé Stan deglutendo, poi quei cento uomini partirono all’attacco e lui sparò nel mucchio, vedendo che il colpo era andato a segno, il braccio di un tizio in camicia a scacchi gli sembrò, forse il vecchio Andrew Gordon, l’ubriacone dei giardini della ex cisterna. Lo sparo non li fermò, e in meno di un secondo almeno tre mazze da baseball lo colpirono sul braccio destro alzato. Cadde a terra e perse i sensi per qualche istante. L’ultima cosa che sentì prima di andarsene per un po’ in un posto più tranquillo fu la risata folle di Robert Gray.

- E dopo cosa è successo? – gli chiese Welsh salutando con un cenno della mano il Capo Gardener che era appena entrato.
- Salve Capo. – disse Stan.
- Salve Hanlon. – disse Gardener che non riuscì a guardarlo negli occhi per più di un istante. Abbassò lo sguardo tossicchiò e disse: - Mi fa piacere vederla non troppo ammaccato. –
- Fratture e contusioni. Poteva andarmi molto peggio. –
- Lo so, Hanlon. – disse il Capo – Lo so, mi creda. Risponda all’agente Welsh, cosa è successo dopo? –
- Sarò un po’ vago, mi dispiace, ma devo aver perso i sensi un po’ di volte mentre … mentre lo linciavano.
Comunque mi sono svegliato mentre un tizio mi stava prendendo a calci nelle costole, Harlan Bowers direi, ma non potrei giurarlo in tribunale. Per fortuna Gray ha urlato a qualche metro di distanza e quello stro … il tizio che mi stava picchiando ha preferito andare a sfogarsi su di lui. Lo stavano prendendo a calci e mazzate, nessuno usava l’ascia, forse solo per spingerlo qua e là colpendolo di punta. Sanguinava dal viso e dalla tempia destra, forse anche una gamba era ferita. Poi buio, mi sono perso per un po’. –
- Poi cos’altro ricorda? – chiese Welsh.
- Mi stavo trascinando lontano dall’auto di servizio. Era in fiamme e sentivo il calore. Avevano tirato fuori il corpo di Paniska e lo avevano legato per i piedi. Lo trainavano urlando e ridendo. Anche Robert Gray era legato per i piedi, lo trascinavano qua e là e lo prendevano a calci. Mi sembra che lui ridesse. O forse gridava. Poi si sono assiepati e non ho più visto nulla. E poi penso di avere perso di nuovo i sensi. –
- Ricorda qualcos’altro, Hanlon? – chiese Gardener.
- Li ho visti che li appendevano per i piedi a uno di quei lampioni, si era arrampicato su in cima un ragazzo, quello col nome francese, un attimo … Duchamp, ecco. Li hanno issati per i piedi. Gray era ancora vivo, si divincolava come quei bruchi quando fanno la crisalide, anche se proprio non vorrei vedere che razza di farfalla … scusate, divago.
Sembrava quel vecchio filmato di Mussolini e della sua donna, avete presente, no? Che li issano su legati per i piedi mentre la folla li prende a calci, e la testa di Mussolini non sembra neanche più una testa. Ecco, era così.
E poi, quando erano lì appesi, si sono messi a colpirli con le mazze e con le asce, e Gray era ancora vivo, e rideva e urlava, e lo colpivano e non faceva neanche più un rumore di ossa rotte, sembrava come se uno schiaffeggiasse un budino, non so. Quando gli hanno buttato addosso la benzina rideva ancora e quando Chambers gli ha dato fuoco ha urlato qualcosa, qualcosa come “Per te padre” ma non potrei giurarlo. Poi basta, mi sono svegliato in ospedale anche se dovevo essere strafatto di morfina, perché mi è sembrato che ci fosse Rachel Weisz accanto al mio letto. –
- Ci sono modi peggiori di svegliarsi. – disse Welsh a bassa voce, poi guardò Gardener e disse: -Capo. –
Gardener si incurvò come un vecchio, si avvicinò a Stan e disse dopo essersi schiarito la voce: - Avremmo qua una cosa … potrebbe leggerla Hanlon? –
Stan aguzzò l’occhio buono, l’altro non riusciva ancora ad aprirlo, lesse le poche righe scritte sul foglio, le rilesse e poi le lesse ancora una volta.
- Paniska si è ucciso, Gray mi ha fatto uscire di strada e io ho perso i sensi nell’auto che stava prendendo fuoco, lui è morto nell’impatto. E Chambers mi ha tirato fuori dall’auto ustionandosi una mano? – rise guardandoli, poi vide i loro sguardi e smise di ridere – Cosa sarebbe, il film giallo del sabato sera? –
Nessuno dei due rispose. Guardando di nuovo il foglio vide che in fondo c’era scritto a macchina “agente Stanley Edward Hanlon. Matricola 19571985.” E sotto una riga tratteggiata per la firma.
- Sarebbe il mio rapporto? Succede ‘sta cosa da Sud degli anni ’20, con la gente bruciata viva per strada e tutto finisce con Chambers che si prende un encomio per avermi salvato la vita? Mi hanno quasi fatto fuori, Cazzo! Mi hanno preso a mazzate! Lo hanno ucciso quello stronzo, lo hanno fatto a pezzi! – e agitandosi mentre urlava sentì un dolore lancinante in ogni singolo osso rotto.
- Hanlon. – disse Gardener – Gray aveva ammazzato a quella maniera due bambine, oltre a molti altri negli ultimi otto o nove anni, e Paniska lo aveva aiutato. Lei piangerà per quello stronzo? –
- Era sotto la mia custodia, aveva dei diritti. –
- Chambers tre giorni fa ha perso due figlie, e ieri sua moglie si è gettata giù da un ponte di testa andando all’altro mondo. Vorrebbe anche arrestarlo quel pover’uomo? –
- La legge non dice che si può linciare un uomo, mi pare. – disse Stan, poi si rese conto di una cosa. Quella gente era arrivata quando lui aspettava i rinforzi. Lui aveva parlato solo con Gardener, e loro sapevano tutto quello che gli aveva detto.
Era stato Gardener a ordinare il linciaggio. Quindi, se non c’era stato alcun linciaggio, Gardener ne usciva pulito. Tra Gardener e la pensione c’era solo uno stronzo, lui. –
- Anche lei pensa che dovrei firmare questa bella fiction, agente? – chiese a Welsh.
L’enorme uomo nero annuì con la faccia seria.
- Va bene. – disse Stan, afferrò la penna che Gardener gli porgeva, la avvicinò al foglio stringendola tra le dita rotte e fasciate, fece un piccolo sgorbio sulla riga tratteggiata e disse: - Spero che le basti come firma. Chambers non ce l’ha fatta a salvarmi anche le dita. – disse, poi si voltò su un fianco e disse: - Avrei sonno, ora. – e li sentì uscire mentre piangeva per la prima volta da quando suo padre era morto.

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