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lunedì 10 dicembre 2012

LA CASA SULLA COLLINA. XXVIII.

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Il cantiere.

La cosa più semplice da fare, in ogni occasione, è quella di non prendere decisioni e di farsi trasportare. È così che si spiega come i nazisti abbiano continuato a scannare ebrei e zingari anche quando la guerra era evidentemente persa. Gli ordini erano quelli e la vita era già sufficientemente difficile così senza dover anche prendere delle decisioni impegnative come quella di disobbedire.
Nel cantiere di San Giorgio in Ripa, quello che dopo anni e anni di scontri e perizie era stato scelto come sede del deposito definitivo per le scorie nucleari di tutta Italia, tutti quanti, anche l’ultima donna delle pulizie che passava la sera per togliere un po’ di fango dagli uffici posti nelle palazzine prefabbricate, avevano capito che difficilmente il deposito sarebbe stato davvero costruito, ma continuare a scavare era più semplice. Nessuno aveva detto di fermarsi e così le macchine continuavano a rosicchiare sale, i camion continuavano a sversare nella cava a pochi chilometri da lì, e gli operai continuavano imperterriti a lavorare alle loro macchine enormi e rumorose.
La natura dell’intoppo era stata tenuta quanto più possibile segreta, ma qualche parolina era stata captata da orecchie indiscrete e così, come nel gioco del telefono senza fili, l’idea di qualcosa di veramente strano e inaspettato era corsa di bocca in bocca passando dalla vaghezza delle informazioni originarie alla totale follia delle leggende metropolitane, o cantierizie, se mi passate l’ardito neologismo, che venivano raccontate qua e là a mezza voce.
Essendo a qualcosa come trenta chilometri di strade sterrate da un qualunque luogo abitato, gli operai, gli ingegneri, i fisici e i militari, perché naturalmente c’erano anche loro, si incontravano alla sera nei quattro spacci del cantiere, posti in dei prefabbricati nel lato nord. Diversamente dagli altri giorni, quando l’unica cosa degna di nota erano stati gli approcci dei più ubriachi con le tre bariste, uniche donne nel cantiere a parte le sei fisiche, che stavano ben distanti dagli operai ubriachi di birra e le due operaie Nina e Gianna, evidentemente lesbiche, quella sera tutti parlavano e sparlavano di dischi volanti, città aliene, resti di Atlantide e altre corbellerie simili, e Andrea, che avendo bevuto solo due birre era uno dei più sobri, si godeva la scena ridendo come un matto a ogni teoria strampalata che gli veniva propinata dall’ubriaco di turno.
- Ti dico che qua sotto c’è una città. – gli diceva uno con il quarto boccale di birra in mano – Una vera e propria città con tutti i suoi abitanti. –
- Ma davvero? E che ci stanno a fare sotto terra? – gli chiedeva lui pregustando la follia della risposta.
- Sono vampiri. – rutto alcolico – O talpe. Talpe umane, talpe umane vampiro. – altro rutto e sguardo con occhietti da ubriaco. –
- Sarebbe forte, no? – diceva allora Andrea al pazzoide di turno.
- Forte? Quelli ci vogliono mangiare il cervello! – o altre amenità simili.
La serata andava così già da un po’ e, avendo cominciato a bere la terza birra, non è che ci fosse da fare molto altro lì, anche lui cominciava trovare possibili alcune di quelle teorie che facevano risalire l’intoppo dei lavori a Atlantide, il continente di Mu, gli Americani, i Russi, la Massoneria, i Maya, il complotto giudaico, la Chiesa, i templari, la P2, Berlusconi, Berlusconi e Putin, Berlusconi e Gheddafi, gli alieni, il complotto alieno, Nixon, le dimensioni parallele, i comunisti, i Cinesi, Mussolini negli anni Trenta, Mussolini dopo la guerra, immaginandolo ancora vivo, e molte altre cose che aveva dimenticato. E fu allora che la sala piena di operai e ingegneri semi ubriachi si zittì di colpo. Era entrata una donna.
Ecco cosa capitava nei saloon del far west, pensò Andrea buttando giù un altro sorso di birra e vedendo che la donna in questione era l’archeologa. Mentre si rendeva conto con orrore di non ricordare il suo nome, vide che stava cercando qualcuno. Magari cerca me, pensò senza sperarci troppo, ma poi lei si girò nella sua direzione e lo guardò. Lui alzò la mano salutandola con un cenno e lei gli sorrise cominciando ad attraversare la calca nella sua direzione.
- Ciao Andrea. – gli disse sedendosi vicino a lui. – È libero il posto? –
- Sì, sì. – le disse notando che, vestita da donna e non da cantiere era ancora meglio. – Bevevo qualcosa e sentivo un po’ di storielle buffe. –
- Che si dice intorno? –
- Pare che abbiamo trovato Atlantide. O Mu. O anche un complotto pluto-giudaico-massonico ordito dai Cinesi Russi con Nixon e gli alieni. –
- Non è che sia proprio folle come teoria. – disse lei afferrando intanto per un braccio la barista e ordinando una birra grande. –
- Birra? Brava ragazza! – disse lui evitando accuratamente di chiamarla per nome. –
- Magari poi facciamo una gara di rutti. – disse lei ridendo.
- Mi ritiro per non essere umiliato. Sei proprio di un altro livello. –
- Grazie. Sono cose che una ragazza sogna di sentirsi dire da un uomo. –
- Come dicevo l’altro giorno a mia sorella, sono un pirata ed un signore … -
- Innamorato dell’amore. - continuò lei.
- Sì. - e poi lui sfoderò un sorriso ebete da antologia.
Lei bevve un sorso di birra dal bicchiere di lui, si pulì la bocca col dorso della mano, una vera duchessa, non c’è che dire, e poi gli disse: - Posso farti una domanda? –
- Sì. –
- Non hai ancora detto il mio nome, e prima mi hai chiamato ragazza. Non ti ricordi come mi chiamo, vero? –
Andrea la ammirò. Intelligente, oltre che bella e simpatica. E amava la birra e rideva dei rutti. Senza dubbio la donna della sua vita. Sorrise e disse: - No. –
Lei gli porse la mano e disse: - Elsa. –
- Andrea. – disse lei stringendole la mano – Ma tu te lo ricordavi il mio nome. –
- Sì, caro. –
In quel momento arrivò il boccale di Elsa, lei ne bevve un gran sorso, si pulì di nuovo alla camionista selvaggio e poi disse: - E così si parla della scoperta, vero? –
- Non si parla d’altro. E da quello che dicono, direi che X-files era il loro telefilm preferito. –
- Io ho sempre preferito E.R. – disse lei.
- Non c’è mai stato nulla come Twin Peaks, e mai ci sarà. Tranne Lost. –
- Lost era bello. – disse lei.
- E tu che mi dici? –
- Di cosa? –
Lui indicò il pavimento con la mano e disse: - Di quello che c’è qua sotto. –
- Ho fatto altri esami, sai, quei campioni che ho preso … -
- Ah - a! –
- Risulta che avevo ragione. Fossili guida, radiazioni, chimica … Quello che è stato fatto laggiù, lo hanno fatto almeno sessantacinque milioni di anni fa. –
- Cazzo. Rivaluto gli ubriachi qua attorno, forse c’hanno preso. – disse lui, e in quel momento gli suonò il cellulare. Guardò chi era e disse: - È il tecnico della trivella, il messaggio dice che devo correre a vedere. –
- Ti dispiace se vengo? – gli chiese lei.
- Se non ti fermano i Men in Black … Vieni pure, dice che è una cosa grossa. – e uscirono dal bar attraversando il cantiere fangoso verso le luci che contornavano la trivella. In quel cerchio di luce si muoveva già una gran folla di persone.

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