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domenica 16 dicembre 2012

LA CASA SULLA COLLINA. XXXIII.

7

Soli al buio.

Elsa, assicurata alla corda, camminava sulla sfera d’oro non preoccupandosi troppo di poter scivolare. Sembrava una fusione unica, senza giunture. Qua e là, in ordine sparso, sul metallo erano incisi dei simboli che lei non aveva mai visto, tranne uno che le ricordava il geroglifico egizio che voleva dire acqua.
Guardò Andrea che intanto continuava a piantare chiodi nel soffitto spostandosi a quattro metri d’altezza sopra a lei. – Cosa vedi da lassù? – gli chiese.
- Altre tre molle. È enorme quaggiù. – disse lui e poi scoppiò a ridere. - È incredibile Gianni, non puoi capire. Stupendo! – disse al walkie talkie e la risposta fu una specie di ronzio gracchiante.
- Cosa ha detto? – chiese lei e Andrea rispose: - Ha detto “Davvero?” –
Lei continuò a camminare sulla sfera e poi disse: - C’è una serie di segni, sembra come una scritta. –
Lui si calò con la corda e arrivò vicino a lei. – Cazzo! – disse.
- Che c’è? –
- Guarda! – disse lui, tirò fuori il suo cellulare e le mostrò la foto che sua sorella gli aveva spedito mezz’ora prima. – Guarda qua e qua! –
- O Belìn! – disse lei afferrando il cellulare e ingrandendo la foto – Ma sono gli stessi segni! –
- Sì. Come è possibile? – le chiese lui, quando dal walkie talkie uscì un urlo di Gianfranco. – O mio Dio! – aveva detto.
Andrea impallidì e urlò nella sua radio: - Cosa c’è? – ma nessuno gli rispose. Rimasero lì, in piedi su quella incredibile sfera più vecchia del mondo senza sapere che cosa stesse succedendo lassù, quando arrivò loro, attraverso il pozzo che si apriva sul soffitto a poca distanza, un boato. – Cazzo! – urlò Andrea che afferrò Elsa per la vita e manovrò le corde per risalire fino al soffitto di salgemma. E, dopo un minuto, macerie in fiamme e carburante infuocato precipitarono giù dall’apertura circolare andando a inondare la superficie della sfera dove anche loro erano stati appoggiati fino a pochi secondi prima. Andrea strinse forte Elsa e, per un breve istante, le fiamme li avvolsero, ma subito tutto cadde giù scivolando nell’intercapedine tra la sfera e la roccia.
Tossendo riaprirono gli occhi e, nell’aria resa opaca dal fumo e dalla povere, videro che il pozzo non c’era più, la roccia era crollata dall’apertura andando a bloccarla totalmente.
Guardarono per un bel po’ di tempo quella massa di detriti fumanti che ostruivano il passaggio, sperando probabilmente che cominciasse a scivolare sulla superficie liscia della sfera, ma poterono vedere solo qualche assestamento, il foro da cui erano entrati, l’unica via d’uscita verso il mondo esterno, era totalmente ostruito.
- La vedo grigia. – disse lei calandosi sulla sfera, tossì per il fumo che riempiva ancora l’aria, si avvicinò alla frana che li aveva sigillati là sotto, afferrò un sasso e lo lanciò lontano. Ribalzò un paio di volte sulla sfera, prima di scomparire alla loro vista ed andare a cadere giù, nella cavità sotto di loro. – La vedo proprio grigia, Andrea, ma grigia di brutto. –
Andrea non parlava, continuava a guardare i detriti che li stavano condannando a morte e poi il walkie talkie che taceva, e poi i detriti e poi ancora il walkie talkie.
- Moriremo prima di sete o di caldo? – gli chiese lei dando un calcio a un altro masso di sale grigio. – Che ne dici, Andre’? –
Lui si calò sulla sfera e cominciò a camminare verso il pendio che andava a sparire nel buio.
- Andrea! Mi senti? Come dici che moriremo? – andò da lui e gli diede uno strattone alla manica – E lassù? Saranno morti tutti, lassù? Mi vuoi rispondere? –
Lui si girò verso di lei e la guardò con uno sguardo molto calmo. Sorrise e le chiese: - Da che lato era la discontinuità? –
- Sei scemo? –
- Da che lato era? –
- Di là. – disse lei indicando verso la sua destra. – Ti cambia la vita? –
- E secondo le prospezioni col sismografo, era molto più largo del nostro scavo? –
- Noi due ci moriremo qua sotto, moriremo! Che te ne frega dello scavo e della discontinuità? –
- Che forma aveva lo scavo antico secondo le prospezioni? –
- Era un largo pozzo scavato a fianco del nostro, e sotto si allargava in una cavità accanto alla massa metallica. Comunque moriremo, cretino! –
- No cara. Là sotto, - e guardò nella direzione che lei aveva indicato prima – la sotto ci deve essere l’entrata di questo rifugio. –
- L’entrata? –
- Certo. Che vuoi, che ‘sti tizi abbiano costruito un enorme buco e ci abbiano piazzato poi un’enorme palla d’oro poggiata su molle per vedere se ne erano capaci? Là sotto ci deve essere l’entrata, e dentro ci sarà sicuramente qualcosa di utile. Andiamo? –
- E se non la troviamo? E se non riusciamo ad aprirla? – gli chiese lei che, essendo calata l’adrenalina ed essendole sbollita l’incazzatura stava per piangere.
- Prima la troviamo, poi la studiamo un po’ e poi entriamo. Una cosa alla volta. – le accarezzò la guancia sporca di polvere e fuliggine e lei, finalmente, fece un piccolo e stentato sorriso. – Andiamo giù, dai, la corda c’è. –
Cominciarono a calarsi giù sull’enorme fianco della sfera d’oro, passando accanto ad alcune enormi molle. Dovevano essere in acciaio placcato in oro, ed erano grandi come tronchi di alberi secolari. Quando già cominciavano a pensare che non avrebbero trovato niente arrivarono a uno slargo nella cavità. C’era un pavimento metallico, e una passerella mobile. Scesero su quel pavimento che esisteva da quando i loro antenati ancora squittivano nella notte fuggendo a rettili bipedi, spinsero la passerella che andò a incastrarsi perfettamente in due invisibili blocchi sulla sfera, e un ronzio leggerissimo arrivò alle loro orecchie.
- Si è accesa. – disse lui.
Lei camminò sulla passerella e immediatamente si accesero delle luci tipo neon, mentre il ronzio aumentava di volume, come nei film di fantascienza quando un’arma a raggi si carica. Poi sulla sfera, proprio davanti a loro, apparve una porta chiusa. Prima non c’era e dopo c’era, si guardarono stupiti e poi videro che accanto alla porta, illuminata di una luce tra il blu e il verde, c’era una tastiera con trentacinque tasti. Su ogni tasto c’era un simbolo di quelli che avevano visto sulla sfera. Una lucetta gialla lampeggiava subito sotto.
- Sarà a combinazione? – chiese lei.
- Col culo che abbiamo, direi di sì. Quante possibilità ci saranno, miliardi di miliardi? –
- Forse di più, direi proprio di più. –
- Va be’! – disse lui sorridendo con una faccia molto tirata – Da qualche parte dobbiamo pure cominciare, no? – e tirò fuori dalla tasca il cellulare. Selezionò la foto mandatagli dalla sorella, la fece vedere anche a lei e poi cominciò a digitare i tasti nell’ordine in cui i simboli apparivano sul muro. Arrivato al penultimo simbolo, che nella foto era parzialmente coperto da una foglia di edera, le chiese: - Questo o questo? –
- Questo qua! – disse lei sfiorando col dito un simbolo che sembrava un dente canino rivolto a sinistra, e come tutti gli altri simboli lo vide aumentare la sua luminosità quando fu toccato.
Alla fine lui toccò l’ultimo tasto e rimasero lì a guardare la tastiera e la porta chiusa. Niente. – Dovevamo pure provarci, no? – le chiese con la faccia delusa.
- Non hai premuto invio. –
- Cosa? –
- Dopo la sequenza si preme invio, no? –
- Se lo dici tu! – disse lui, poi allungò il dito e toccò la luce pulsante dicendo: - Apriti Sesamo! –
Tutta la tastiera divenne rossa, così rossa da illuminare le loro facce spaventate, e poi il ronzio all’interno si trasformò in un enorme risucchio. Intanto al posto della tastiera era apparso un rettangolo di due colori, rosso e verde, solo che all’inizio il rosso riempiva quasi totalmente la figura, ma il verde aumentava molto velocemente. Dopo un paio di minuti il verde lo riempì totalmente, e allora cominciò un rumore diverso, come un soffio potente. E il rettangolo passò dal verde al blu. Quando il blu fu completo il soffio si interruppe e, sotto ai loro occhi sbalorditi la porta si aprì mostrando loro un interno tipo astronave di Star Trek. Lui si portò il cellulare alla bocca e lo baciò dicendo: - Grazie sorellina. – poi le prese la mano ed entrarono all’interno.

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