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martedì 4 dicembre 2012

LA CASA SULLA COLLINA. XXII.

3

Due telefonate.

- Ciao Carlotta! – disse la voce allegra all’altro capo del telefono.
- Non chiamarmi Carlotta, è un nomignolo da grassa. –
- Ciao Carletta! – disse allora lui.
- E questo è un nome da scema. –
- Ciao Carlina? –
- Sì, grazie, e ora sono un cane nano dal muso schiacciato. –
Lui adesso sghignazzava e, con voce quasi incomprensibile disse: - Sorellona va meglio? –
Carla sbuffò e disse: - A parte per il fatto che ho tre anni meno di te e peso venticinque chili di meno … -
- E che palle, Carla! Come va il tuo lavoro di educatrice? –
- Mi stai prendendo per il culo forse? –
- O scusa! Come va il tuo lavoro di maestrina dalla penna rossa? –
- Lo sai dove te la infilerei la penna rossa a te? E, dimmelo un po’ ingegnerone dei miei stivali! –
- Guarda, se la penna è radioattiva, forse ce l’ho un posticino dove infilarla. –
- Avete trovato un posto che va bene? – gli chiese lei soddisfatta dopo avere risposto a tono a quel matto del fratello. Di solito dopo due battute veniva cazziata di brutto.
- Sembrerebbe di sì. Banco di argilla di un chilometro sotto, ottocento metri di sale asciutto come il Sahara e sopra un altro mezzo chilometro di argilla. Sembra fatto apposta. –
- E cos’è che non deve esserci, falde acquifere, no? –
- Sì. Ma allora c’è un cervello in quella bella testolina tondeggiante e piena di capelli! –
- Ricominci con le cazzate, Andrea? –
- O scusi, mi dimenticavo che lei è una severa educatrice. –
- Vai a cagare. –
- Già fatto. Sì, comunque bisogna che ci sia quella sequenza di strati, che non ci sia acqua e che non sia zona sismica. E qui è perfetto. –
- Avete già cominciato a scavare? –
- Trivellano da due giorni, tra un paio di giorni dovremmo raggiungere lo strato di sale. E poi comincerà la parte difficile. –
- Capisco. – disse lei. Poi si accorse di qualcosa e gli chiese: - C’è qualcosa che non mi dici? –
- Lo sai tenere un segreto? –
- Una tomba sono. – disse con accento siculo e si ricordò di Alessandro che si portava un dito alla tempia e le diceva “Non me lo scordo.” Cominciò a ridere e disse: - Proprio stamattina ho mentito per difendere un bimbo che sembra Vito Corleone. –
- Ha il cotone in bocca? –
- Scemo! No, solo che è, come dire?, autorevole. Sembra un piccolo padrino buono. –
- Ma in che posto sei finita? Corleone? – e questa volta fu lui a calcare l’accento in una imitazione dei picciotti dei film.
- Più che altro sembra Innsmouth o Arkham. –
- Quelle di Lovecraft? –
- Sì. Hai presente quelle cittadine abitate da uomini imbastarditi con gli Antichi? Quelli che a una certa età si chiudevano in casa perché diventavano mostri? –
- Certo. Te li ho fatti leggere io quei libri, tu leggevi “Cioè”. –
- Stronzo. –
- Grazie. C’è gente così brutta? –
- Un Lombrosario. Mancano solo l’Uomo elefante e il Tronco umano. –
- Wow! Fatti coraggio, bella. – poi Andrea stette un attimo in silenzio e le disse: - Comunque c’è una cosa. Ma devi proprio tenertela per te. –
- Cosa? – chiese lei interessata.
- Come faccio a spiegartelo? Abbiamo fatto delle prospezioni, onde sismiche e campi elettrici, roba che non conosci di certo. –
- Leggevo “Cioè”. –
- Ah- A! Touchè! Comunque i risultati sono un po’ strani. –
- In che senso strani? –
- Vedi … Dalle prospezioni risulta che qualcuno ha già scavato in questo banco di salgemma. Molto tempo fa. –
- I Tedeschi. C’è un tesoro nazista? –
- Non hai capito bene, ho detto molto tempo fa. Dalle prospezioni si vede un canale di discesa riempito di sale un po’ diverso da quello intorno, e in fondo, proprio dove noi vorremmo mettere il deposito nazionale delle scorie, c’è un enorme oggetto metallico vuoto. O almeno così sembra dalle prospezioni. –
- Un oggetto metallico vuoto? Vuoi dire un disco volante? –
- Non lo so, Carla, so solo che dagli esami che hanno fatto, il sale che riempie il canale di discesa sta lì da più di sessantacinque milioni di anni. –
- Ma non dire cazzate! –
- Non è una cazzata, Carla. E non dirlo a nessuno, perché qui i pezzi grossi si stanno agitando un bel po’. Ah, sì. Mi chiamano. Ciao bella, e insegnagli tutto quello che puoi, ai poppanti! –
- Ciao Andrea. E attento agli omini verdi! – e sentì il clic della chiusura della telefonata. Ora sì che le sembrava di essere a Arkham, e di solito a chi bazzicava per quella città non andava a finire benissimo.

Dopo la telefonata con suo fratello Carla fece un po’ di pulizie, cosa che odiava alla massima potenza, rifece il letto e andò anche sul poggiolo a sbattere un tappeto. Quando ebbe posato a terra il tappeto, un vero finto tappeto persiano naturalmente, capì che il momento era venuto. Andò a prendere i pensierini dei suoi ragazzi e, armata di matita rossa e blu si mise a correggerli.
Erano un incubo. I bambini sembravano avere la padronanza della lingua italiana che avrebbe potuto avere uno scimpanzé nato e cresciuto nella foresta del Gabon. Si fece forza e attraversò quel mare di compagni di classe che erano davvero simpatici e di vacanze che erano state davvero tanto divertenti, e alla fine, quando ebbe posato sulla pila di compiti corretti l’ultimo foglio, scoppiò a ridere fino a che cominciò a lacrimare.
- Mio Dio! Meglio gli extraterrestri di Andrea, scriveranno senza dubbio meglio. – disse alzandosi, andò in bagno e controllò asciugamano, shampoo e doccia schiuma. Andavano tutti bene. Andò in camera, si tolse le scarpe da ginnastica giurassiche che portava in casa e infilò le ciabattine infradito da spiaggia.
Poi aprì l’armadio e tirò fuori la biancheria pulita, la posò sul letto, si tolse la felpa e le diede una bella annusata sotto le ascelle. – Bene. – disse e fischiettando Hey Jude la appoggiò sul letto accanto a slip, canottiera e reggiseno. Si sfilò i pantaloni, che portava solo da due giorni e quindi erano ancora puliti e lanciò le mutandine nell’oblò della lavatrice che naturalmente, dato il suo ordine innato, era rimasto aperto dal giorno prima. E fu allora che squillò il telefonino.
- Pronto? – disse senza sapere chi la stesse chiamando, perché il numero era sconosciuto.
- Ciao Carla. – disse la voce di un uomo dall’altra parte. –
- Ciao. – disse lei tentando di capire chi fosse.
- Lo sai chi sono? –
Carla si guardò intorno grattandosi la testa come una scimmia davanti a un’enciclopedia, poi disse: - No. –
- Sono Franco. –
- Franco! Ciao bello! – quella di chiamare tutti bello e bella era una mania che aveva preso dal fratello.
- Mi avevi dato il tuo numero e … -
- Hai fatto bene a chiamare. Dove sei? –
- All’aeroporto, parto per la Russia. –
- Vai su? –
- Sì. Tra sei giorni. –
- E dimmi un po’! Li hai mai visti? –
- Chi? –
- Gli alieni. Gli omini verdi. –
Franco rise e poi disse: - Ma ora non si parla sempre dei Grigi? –
- Tipo Roswell? –
- Quelli. O tipo X-files. –
- Mitico X-files. Io amavo Mulder. –
- Bella cosa da dire a un uomo che ti chiama per sapere se pensavi a lui, proprio bello. “Io amavo Mulder.” E di me che dici? –
Carla sorrise sedendosi sul letto accanto alla biancheria pulita e disse: - Ti accontenti se ti dico che ti ho pensato tanto? –
- E quando? –
- Mah! Stamattina alzandomi, quando parlavo con la preside, quando parlavo con una mia amica. Ti ho pensato un sacco di volte. –
- Così va meglio. E come mi immaginavi? –
- Come sono io adesso. –
- Non capisco. – disse lui. Poi aggiunse: - Ora devo andare, mi parte il volo. –
- Va be’! Salutami gli alieni. –
E allora lui le rispose una cosa che lei davvero non capì, ma che unita a quello che aveva visto per strada tornando a casa e a quello che le aveva detto il fratello le fece venire i brividi. Franco le disse: - Con quella collina che c’hai vicino, forse puoi salutarli da sola. –
Poi, prima che lei potesse chiedergli cosa avesse voluto dire lui le chiese: - Ma che voleva dire che mi immaginavi come sei adesso? –
- Nuda. – gli rispose, e lui chiuse la telefonata ridendo fortissimo.
Carla si alzò e posò il telefono sul comò chiedendosi cosa avesse voluto dire sulla collina e gli alieni, quando si rese conto che fuori era ormai buio. Se fuori era buio e lei era in una stanza illuminata, allora da fuori si poteva vedere attraverso le tende. Si avvicinò alla tenda che, vista dall’interno era bianca e opaca e, scostandola appena, guardò fuori. Sul poggiolo del palazzo di fronte, a non più di una dozzina di metri da lei, un uomo la stava guardando. E be’, doveva essersi davvero goduto lo spettacolo, lo guardò in faccia e gli mostrò il dito medio, poi corse a chiudere la luce e, incazzata nera e con un immenso desiderio di prendere quel guardone a calci nelle palle fino a fargliele sputare, cominciò a fare la doccia.

Mentre lei si insaponava i capelli e, come è naturale, si scordava quasi totalmente del guardone, questi, che era il giovane della coppia padre-figlio che lei aveva visto all’ora di pranzo, rientrò in casa e disse al padre: - Sa qualcosa. Dobbiamo controllarla meglio. –

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