Archivio blog

lunedì 17 dicembre 2012

LA CASA SULLA COLLINA. XXXIV.

V

Luna

Buzz finì di pisciare nel tubo aspiratore e espulse l’urina fuori dalla astronave. Aveva freddo, aveva la nausea, e aveva paura.
- Come va, Buzz? – gli chiese Collins.
- Vorrei starmene coricato su un covone di fieno a guardare la luna in cielo. – gli rispose galleggiando nel minuscolo abitacolo e andando a mettersi accanto a lui – Lo odio ‘sto trabiccolo. –
- Lo sapevamo che sarebbe stato così, no? –
- Saperlo e viverlo non sono la stessa cosa. E poi cos’è ‘sta roba luminosa che c’è ogni tanto? –
- Houston dice che sono raggi cosmici. –
- Quante radiografie ci stiamo facendo ogni giorno che stiamo qua dentro, cazzo? –
- Risparmieremo sulle lampadine la notte. – disse Michael Collins e risero.
- Che c’è ragazzi? – chiese Armstrong che si era addormentato per un paio d’ore e si era appena svegliato ancora attaccato con le cinghie alla cuccetta.
- Ci lamentavamo del servizio. Questo mezzo di trasporto fa schifo. –
- Se volete potete scendere e andare a piedi. –
- Ah –a! – disse Collins – Molto divertente, capo. –
- Io sono molto divertente. Una piccola battuta per un uomo, ma una grande risata per degli astronauti. –
- Le provi tutte per ricordarti la frase che ti hanno detto di dire, eh? – disse Aldrin.
- E tu lo sai che devi dire? –
- Tanto, per quelli che se la ricorderanno, la frase del secondo uomo sulla Luna. Com’è … Una stupenda desolazione. Qualcosa di simile. –
- Rileggitela, cazzo. – disse Armstrong. Poi andò all’oblò e guardò nello spazio buio all’esterno.
- Certo che bisogna essere pazzi a metterci un oblò in ‘sto coso. Ma vi rendete conto che pressione che sopporta? –
- Lo hanno testato, capo. O almeno così ci hanno detto. – disse Collins raggiungendo Armstrong – E poi senza ‘sto pezzetto di vetro potrei anche credere d essere ancora fermo a Cape Canaveral. –
- Qualcuno lo dirà, sai? Qualcuno non ci crederà che siamo venuti fin quassù. –
- Il mondo è pieno di complottisti, ragazzi. –disse Aldrin, poi avvicinò la faccia al finestrino e disse: - E quello che cazzo è? –
- Cosa? –
- Là. Quella cosa là. – disse Aldrin indicando un oggetto grande almeno il triplo della loro nave che si avvicinava roteando alla loro sinistra.
- Cazzo. – disse Armstrong. Poi prese la radio e disse: - Houston. Sapete dirci dove si trova il terzo stadio? –
- Cosa? –
- Il terzo stadio del missile. Dove si trova rispetto a noi? –
- Undicimila metri dietro di voi. –
- Ah! – si girò a guardare i suoi compagni, allargò le mani e loro annuirono. – Va bene. – disse, poi afferrò un binocolo e guardò di nuovo, l’oggetto era cilindrico, metallico e ruotava velocemente su sé stesso. E si stava avvicinando. Spostò la levetta della radio dalla frequenza pubblica, captata da qualcosa come mezzo migliaio di radioamatori in tutto il mondo, a quella militare criptata e disse: - Houston, qualcosa ci segue. Il radar lo vede? –
- Qualcosa di che genere? –
- Grande, metallico e artificiale. E con degli oblò, se vedo bene. –
- Noi non lo vediamo. Può essere russo? – chiesero dal controllo missione.
Armstrong guardò di nuovo nel binocolo, deglutì un paio di volte e, impallidendo in maniera preoccupante disse: - Solo se i Russi hanno la pelle grigia e la testa enorme. E se salutano con mani con quattro dita. –
La voce proveniente da Houston tacque per qualche istante, degli istanti molto lunghi, poi disse: - Bello scherzo, Neil! –
Armstrong guardava ancora nel suo binocolo e esaminava con cura quella cosa che si stava avvicinando a loro. Molto velocemente. Tra la loro astronave e quella che stava arrivando c’era molta ma molta più differenza di quanta che ne fosse tra l’aereo dei fratelli Wright e il Lem. Quella cosa non sembrava affatto un trabiccolo di lamierino con le antenne, ma assomigliava molto di più a un’astronave di quella serie nuova che davano in tivù, come si chiamava, Star Trek ecco. – Non è uno scherzo, Houston – disse.
- Comandante Armstrong, la smetta con questo scherzo, è un ordine. – disse la voce proveniente dalla Terra.
- Come vi ho già detto, non sto scherzando. Negli ultimi cinque minuti un grosso oggetto volante non identificato di forma cilindrica è apparso nella nostra scia e si è avvicinato costantemente al nostro veicolo. Sembra metallico e lungo sui trenta metri. Guardando col mio binocolo, ora che sarà a non più di ottocento metri da noi, vedo che agli oblò sono affacciati degli essere apparentemente di colore grigio, con grandi occhi neri e quattro dita per mano. –
Nessuna risposta. I tre astronauti si guardarono tra loro senza dire nulla, ma ognuno vedeva negli occhi degli altri una sola cosa, paura pura e semplice. Armstrong aveva fatto alcuni appontaggi notturni col mare in tempesta, eppure non aveva mai saputo fino a quel momento cosa potesse essere la paura.
- Vi sembra dotata di armi? – chiese finalmente la voce di Houston.
- Per quello che posso capire, no. – rispose Armstrong guardando la grossa astronave che era adesso a circa quattrocento metri di distanza – Non vedo nulla che sembri un’arma terrestre. – e dopotutto anche loro non avevano alcuna arma. Indifesi come pulcini davanti a un falco.
- Preparate le vostre capsule. – disse la voce proveniente dalla Terra – E speriamo che non siate costretti ad usarle. –
I tre astronauti misero le mani in tasca e tirarono fuori una minuscola capsula chiusa nella stagnola. Da quando il primo cosmonauta russo, quello prima di Gagarin, che nessun alto papavero di Mosca aveva pubblicizzato, era morto di sete e asfissia in orbita non essendo riuscito a tornare giù, tutti quelli che venivano prescelti per andare in orbita venivano anche dotati di una capsulina di cianuro di potassio. In caso di incidente, di uno di quegli incidenti che nessuno augurerebbe neanche al suo peggior nemico, avrebbero potuto cavarsela con un minuto scarso di spasmi.
Infilarono le capsule di cianuro nel taschino della maglietta e, con le facce attaccate all’oblò come quando da bambini fissavano i dolciumi attraverso una vetrina, guardarono l’astronave aliena che si avvicinava e agganciava con delle braccia meccaniche il loro modulo.
- Peccato non poterlo raccontare a nessuno. – disse Aldrin – Sarà il primo contatto. –
- Mi raccomando ragazzi … - disse Armstrong – Comportatevi bene, rappresentiamo tutta la Terra. –
- E che Dio ce la mandi buona! – disse Collins che non era mai stato famoso per l’ottimismo.
E fu allora che sentirono il rumore dell’oblò che veniva depressurizzato. Gli alieni avevano attraccato e stavano per entrare. Nel silenzio dell’abitacolo, rotto solo dai loro respiri veloci e dai bip della macchine, Neil Armstrong disse: - In bocca al lupo, ragazzi! – e l’oblò si aprì.

Nessun commento:

Posta un commento