Archivio blog

sabato 8 dicembre 2012

LA CASA SULLA COLLINA. XXVI.

IV

Macchu Picchu

I due fratelli stavano in piedi davanti al bagagliaio dell’auto aperto e guardavano ora i borsoni ora il volto uno dell’altro.
- E il bello è che la panda ha un bagagliaio davvero grande. – disse lui.
- Colgo come una traccia di ironia? – gli chiese lei.
- Una traccia? Che simpatica! E chi dovrebbe portarla su ‘sta roba? –
- Noi due. – gli rispose lei.
- E quale di questi piccoli borsoni da cento chili l’uno dovresti portare su con quelle braccine asfittiche? –
Lei si tirò su una manica e flesse il bicipite. – Guarda un po’ che roba! Schwarzenegger. –
Lui fece una smorfia e disse: - Dopo la morte e la mummificazione? –
- Ha parlato il culturista. Scommetto che dopo due borse mi chiederai in ginocchio di aspettarti. –
- Guarda, cara sorellina mia, cara Carletta … -
- Non chiamarmi Carletta! –
- Carla, mi permetti di essere volgare? –
- Perché, sei mai stato fine in vita tua? –
- Moi? Io sono la finezza in persona. Allora, me lo permetti? –
- Vai. –
- Per fortuna che sei donna, perché con quello schifo di braccette secche non riusciresti neanche a tirarti su l’uccello per pisciare. –
- Alla faccia della finezza! – disse lei ridendo, poi prese due borse, grandi ma non le più grandi, e cominciò a camminare verso il portone a una ventina di metri dall’auto – Vuoi cominciare ad aiutarmi o te ne stai lì a distillare finezze? –
Andrea sghignazzò forte, prese due borsoni, questi sì grossi, e a passo veloce la raggiunse e la superò. – Che piano, piccola? –
- Terzo. Ma l’ascensore è guasto. –
- E te pareva! Ci vediamo su, bella. Io vado veloce, sai. –
- Attento al cuore, che non sei più di primo pelo! –
- Vaffanculo! –
- Belle parole da dire a una sorella più piccola. – disse ad alta voce, lui era già al primo piano, e cominciò a salire anche lei. Quando lo raggiunse lui se ne stava ostentatamente appoggiato al muro con espressione annoiata. – Mi ero quasi scordato la tua faccia. – disse.
- Io la tua no. è rotonda e con uno spacco in mezzo. E con due enormi guance. Come la potrei definire? Un culo, ecco. – gli disse tentando di nascondere l’affanno.
- Respira, Carletta, che se no mi sbatti in terra. –
Lei sbuffò, e inspirò, e prese le chiavi aprì la porta. Entrarono in quel piccolo appartamento ammobiliato con mobili semplici e scuri. – Entra. – gli disse quando lui era già nell’ingresso.
- Già fatto bella. – le disse facendo un sorriso largo e ottuso – Dove le poso le borse? –
- Di qua. – disse lei facendolo entrare nella camera da letto. La finestra era aperta e dava sulla strada. Lui guardò fuori e disse: - Bel quartierino di merda. –
- Come dicevo prima, Andrea, tu distilli finezze. –
- È nella mia natura, bella, sono fatto così. Sono un pirata ed un signore, innamorato dell’amore. –
- E poi si offende quando una lo manda a quel paese! – disse lei mettendosi le mani nei capelli, poi indicò la porta e disse: - Altro carico? –
- Si badrona, ora io porta tutto, missis Scawlett! Io bravo sghiavo negro. –
Lei scosse la testa e cominciò a scendere le scale. Lui la seguì e, dopo una mezz’oretta avevano finito il trasloco; la camera era praticamente colma di borse, borsoni e sacchetti vari ed eventuali che contenevano tutti i vestiti di Carla.
- Grazie, Andrea. – gli disse asciugandosi il sudore dalla fronte con un fazzoletto.
- Dovere, sorellina. – disse lui bevendo acqua da una bottiglietta. – Calda come pisciazza! Che bontà! –
- Gelato? – gli chiese lei sorridendo – Ho visto che c’è un bella gelateria un po’ più su lungo la strada. –
- O per Bacco! Se offri tu, certo che sì! – le rispose dandole una pacca sulla schiena e scesero le scale continuando a scherzare come avevano fatto per tutte le quattro ore di viaggio da casa dei loro genitori a lì.

Quando furono seduti al tavolino con i loro gelati davanti, limone e fragola lei, cioccolato, nocciola, crema e caffè lui, dopo aver assaporato un po’ di quella goduria cremosa, lui disse: - Sei pronta sorellina? Una maestra ha delle responsabilità. –
- Lo so. Anche un ingegnere che scava pozzi profondissimi per stiparli di scorie nucleari ne ha un bel po’, se non sbaglio. –
- E sì. Ma io parlavo di una ciurma di piccoli pisciottoli che dipendono da te. Sei come un comandante di una nave, piccola, quello che gli accade, quello che imparano, quello che non imparano, tutto dipende da te. –
- Grazie per l’incoraggiamento, Andre’, grazie davvero. –
- Carla, è solo la verità. Stai per passare la tua linea d’ombra. –
- Conrad? –
- Sì. So che tu leggevi Cioè, ma tento di educarti. –
- Vai a fare in culo! – sillabò lei. - Devo farti lo spelling? –
- Ottima insegnante, davvero. Ho imparato una parola nuova. –
Risero tutti e due e, per qualche minuto, mangiarono in silenzio i loro gelati fino a finirli. Lei andò a pagare il conto e poi fecero una passeggiata fino alla scuola, o almeno questa era l’idea iniziale, perché c’era il sole e faceva caldo e così si fermarono dopo poche svolte.
- Lavorerai in altura. Aria buona, sottile ma pulita. – disse lui.
- Sei sporco di cioccolato. Come un bimbo piccolo. – gli disse pulendogli l’angolo della bocca con un fazzolettino di carta. –
- Grazie Carla. – disse lui sorridendo. – Siamo grandi, eh? – le chiese rendendosi conto di essersi quasi commosso.
- Purtroppo sì, Andre’, non siamo più dei giovani pischelli. –
Lui si mise a ridere e si girò per non farle vedere che aveva gli occhi lucidi. La sua sorellina non solo si era laureata e specializzata, ma avrebbe avuto una classe sua. Il tempo passava e non tornava più, che fregatura. E fu allora che vide una cosa. – Guarda là, Carla. – le disse indicando il muraglione che sorreggeva un fianco della collina.
- Cosa? –
- Un’iscrizione. La vedi là, su quelle pietre? – e si avvicinò al muro attraversando la strada.
- Ma dove? – gli chiese seguendolo. Lei vedeva solo dei massi incredibilmente consunti e ricoperti di licheni e muschio rinsecchito.
- Ma qua! – disse lui indicando dei segni appena accennati sulle pietre. – E guarda le pietre, sono come i massi di Macchu Picchu, guarda! – e tirata fuori dal portafoglio una carta di credito tentò di infilarla tra le pietre. Era impossibile.
- Per te sono lettere? – gli chiese lei che continuava a vedere solo scalfitture e graffi.
- Certo. Guarda, ce ne sono due uguali, qua e qua. – le disse indicando due segni su due pietre distanti una dall’altra un paio di metri.
- Forse … Ma no, dai. E in che lingua sarebbero? – gli chiese.
- Sei te la letterata, io so’ ingegnere. –
- Tu sei fesso. – gli disse lei avvicinando il naso alla roccia. Effettivamente era ricoperta da segni strani, ma erano così consumati dalle intemperie che, anche se fossero stati una scrittura secoli prima, ora erano solamente dei segni incomprensibili.
- Mai detto il contrario. Ma dai, piccola, è una scrittura! –
- E io sono Monica Bellucci. –
- Per fortuna no, non mi sono mai piaciuti i pensieri incestuosi. – disse lui sorridendo.
- Scemo! – gli disse. Si allontanò per avere una visione d’insieme di quei segni. A volerla cercare, c’era una distribuzione abbastanza regolare, su righe e colonne, ma solo se la si cercava. Mah! – Per me sono solo segni sulla roccia. –
- Dici? – le chiese lui deluso – Non abbiamo scoperto un’iscrizione di un popolo antichissimo? –
- Vuoi la verità o vuoi che ti renda felice? – gli chiese sorridendo.
- La seconda? –
- Allora, solo perché sei un fan di Lovecraft, e quanto mi hai rotto da ragazzi con quel pazzoide, questa è la scrittura dei Grandi Antichi. –
- Vedi? Sono un genio, il nuovo Schliemann. – disse lui allargando le braccia e accennando un inchino.
Lei lo guardò con sufficienza, cominciò a scendere verso casa sua e disse, sottovoce ma in modo che lui la sentisse: - Il nuovo scemo, semmai. – e tornarono a casa dove lui l’avrebbe aiutata a svuotare un po’ di borse prima di tornare in Toscana dove stavano scavando il deposito nazionale delle scorie.

Da dietro un angolo due uomini li avevano osservati mentre esaminavano i segni sul muro. Erano i due uomini che, qualche settimana dopo, lei avrebbe notato per strada, il padre e il figlio brutti e tozzi. Loro due l’avevano già notata allora.

Nessun commento:

Posta un commento