Archivio blog

martedì 11 dicembre 2012

LA CASA SULLA COLLINA. XXIX.

3

Andrea.

Coricato nella stanza buia Andrea ascoltava il vento che soffiava costante tra gli alberi poco distante dalla finestra. Come è naturale, non riusciva a dormire.
La bella donna che dormiva nuda accanto a lui, Elsa, e di sicuro non se lo sarebbe più dimenticato quel nome, si rigirò verso di lui e gli appoggiò la fronte sull’incavo tra spalla e collo. Era tiepida, meravigliosamente tiepida, e la pressione di quel corpo era stupenda. Si mosse ancora, borbottando qualcosa, e gli appoggiò sulle gambe la sua gamba destra piegata e sul petto la mano destra. Lui alzò la sua mano sinistra e strinse quelle dita sottili. Lei fece un respiro più forte, mugolò un verso non meglio identificato, ma di certo non scocciato, e rispose alla stretta. Respirando l’odore di quei capelli neri e ricci lui se ne stava così nel letto, stringendo quella piccola mano e beandosi del contatto di quel corpo caldo.
Guardò fuori, la luna ormai ridotta a uno spicchio stava appena sorgendo, e illuminava quella piccola stanza spoglia. Strinse di nuovo la mano della ragazza e lei gli rispose stringendo a sua volta. Il sesso gli era piaciuto, e sicuramente era piaciuto anche a lei, ma l’intimità di quelle due mani … avrebbe voluto che quel momento potesse durare all’infinito.
Ma non sarebbe durato, proprio no. Ma quell’intimità, quella vicinanza, sarebbero tornati molto utili il giorno dopo, quando loro due, unici volontari in tutto il campo, si sarebbero calati nel pozzo dove la trivella aveva finito di scavare.
Avevano attraversato di corsa il cantiere raggiungendo la trivella e il suo cerchio di luce, e lui non aveva potuto fare a meno di pensare a Incontri ravvicinati del terzo tipo, a quelle lunga parte finale nel campo di atterraggio ai piedi della montagna, e si era chiesto se non stessero per incontrare davvero qualcosa di inaudito. Quando era giunto alla trivella, nessuno aveva chiesto cosa ci facesse Elsa, c’era troppo casino per stare a guardare chi fosse sul posto e chi ne avesse diritto, l’operaio addetto alla trivella era corso da lui e gli aveva detto che erano arrivati alla cavità.
- Che tipo di cavità? –
- Non lo so. La trivella stava andando giù con facilità, quando a un certo punto è andata giù di colpo. Ho fermato subito i motori e ho guardato i sensori. Vuoto. Totalmente vuoto. –
- Cazzo. Avete già mandato giù la telecamera? –
- Aspettavamo lei e gli altri ingegneri. –
Allora lui si era guardato intorno, era senza dubbio il più alto in grado, tra i civili, e se stavano aspettando qualcuno che desse degli ordini, era lui. – Mandate giù la telecamera. – aveva detto.
Si erano assiepati davanti allo schermo su cui venivano proiettate le immagini riprese dalla telecamera fornita di potenti fari. Per un bel po’ avevano visto solo lo scavo circolare, con i cavi dell’illuminazione e le rotaie del montacarichi, ma dopo un po’ avevano cominciato a vedere solo lo scavo grezzo.
- Elsa. – l’aveva chiamata – Potrebbe servirci la tua esperienza. –
Lei si era avvicinata e aveva cominciato a esaminare quelle immagini. – Continua la discontinuità. Come nel punto dove eravamo oggi. – e poi, a un certo punto, videro il foro diventare un cerchio nero.
- Rallentate la discesa. Piano, piano. – aveva detto lui e a un certo punto la telecamera era uscita dalla galleria e si era trovata davanti a una parete. Era distante e non la si vedeva bene. – Fermi. Rotazione. – aveva detto Andrea e il tecnico aveva fatto compiere un giro completo alla telecamera. La parete orizzontale continuava in ogni direzione, anche se sembrava scendere ai lati.
- Che ne dite? –
Nessuno disse niente, poi Elsa alzò la mano e disse: - Posso muovere la telecamera? –
- Vai! – le aveva detto e lei aveva fatto fare un’altra lentissima rotazione alla telecamera. Si vedeva in alto un soffitto di salgemma scavato in modo grezzo, e sotto quella parete liscia e, a prima vista, metallica. In lontananza sembravano scendere. Lontano, a qualche decina di metri, forse, un qualcosa di enorme collegava la parete di salgemma e quella metallica sottostante. Elsa mise a fuoco e videro che sembrava una colonna, o un pilastro.
- Una spirale. – aveva detto lei.
- Dice che è una colonna? – aveva chiesto un tecnico addetto alla trivella.
Lei si era girata a guardarlo, aveva inspirato e poi aveva detto: - Quella forma a spirale … - fece fare un altro giro all’obbiettivo, mettendo a fuoco ora vicino e ora lontano, poi disse: - Il Norad. –
- Cosa? – aveva chiesto allora Andrea.
- Il Norad, la base da cui l’America avrebbe combattuto la guerra nucleare. È una base scavata sotto a una montagna, totalmente a prova di bomba. –
Andrea ricordò la particolarità di quella base, prese i comandi della telecamera e la puntò di nuovo su quella specie di pilastro. Tentò di metterlo a fuoco, ma era troppo distante. – Una molla. –
- Sì. – aveva detto Elsa. – E se non mi sbaglio sia lo scavo che l’oggetto metallico sottostante sono sferici. Un oggetto sferico all’interno di uno scavo sferico di qualche metro più grande. –
- E delle molle a dividerli, così in caso di terremoto l’oggetto all’interno rimane immobile per l’inerzia. –
- Esatto. – aveva detto lei. E se non mi sbaglio … - e fece scendere la telecamera verso la parete metallica. Era ricoperta da uno strato di polvere di sale caduto a causa della trivella, ma da vicino si vedeva meglio. – Oro. Se non mi sbaglio è oro. –
Andrea si era avvicinato allo schermo e per un attimo si era immaginato nelle vesti di Paperon de Paperoni, con tanto di occhi a dollaro. Era oro, senza alcun dubbio.
- Oro? – aveva chiesto Gianfranco, un altro ingegnere. – Una palla d’oro? –
- No, Gian, è solo rivestito d’oro. L’oro è un metallo nobile, non arrugginisce e non reagisce a nessun acido. Se rivesti d’oro un qualcosa, fino a che l’oro non viene rimosso quella cosa non si modifica. Qualcuno si è dato un gran da fare per conservare quello che è contenuto in quella capsula. –
- Ma quanto sarà grande? – chiese ancora Gianfranco.
- Elsa? –
- Non lo so. Stimerei almeno duecento metri di diametro. Ma potrei sbagliare. –
Avevano continuato a guardare quelle immagini per un’ora o due, discutendo con vari capoccioni militari e civili, fino a che qualcuno aveva chiesto come si sarebbe potuto andare giù a controllare. Nel silenzio totale, dopotutto ci si trovava di fronte a un’antichissima civiltà sconosciuta, Elsa aveva detto: - Con una normale attrezzatura da speleologia potrei scendere anche io. –
Andrea l’aveva guardata e aveva detto: - Io ho fatto alpinismo. Io sono ingegnere e scendendo potrei vedere cos’è quella roba, lei che è archeologa e geologa potrebbe capire da quanto è laggiù. –
Tutti li avevano guardati come due pazzi, ma nessuno si era opposto. Quando, dopo una ventina di minuti la riunione si era sciolta, erano andati via insieme, eccitati e terrorizzati per quello che li aspettava il giorno dopo e così, senza quasi accorgersene, erano finiti nella camera di lui a parlare delle loro teorie, dei pericoli che avrebbero potuto trovarsi davanti, del fatto di essere i primi a venire in contatto con quella civiltà, e l’eccitazione era montata a tal punto che, sì, avevano cominciato a fare l’amore.
E ora lui era lì, al buio nella sua stanza con Elsa addormentata sulla sua spalla. Si girò a guardare la sveglia a numeri luminosi, le tre e mezza. Di lì a cinque ore si sarebbero calati in quel buco. E si addormentò così, stretto a quella donna bella e coraggiosa che forse cominciava ad amare.
E, poco prima di addormentarsi del tutto, si ricordò che la parete di oro non gli era sembrata totalmente liscia. Qua e là, disordinatamente o con un ordine che non era alla sua portata, si vedevano dei segni che gli sembrava di conoscere. Ma il sonno giunse prima che riuscisse a ricollegarli a un muro che aveva visto vicino a casa di sua sorella.

Nessun commento:

Posta un commento