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giovedì 20 dicembre 2012

LA CASA SULLA COLLINA. XXXVII.

3

Base Luna.

Il viaggio dalla S.S.I. alla Luna fu come al solito una passeggiata. L’astronave degli alieni era schermata dalle radiazioni, dotata di gravità artificiale, calda e con l’umidità perfetta. Se ancora non avevano cominciato a usarle anche per decollare, era solo per tenere lontani dal programma spaziale tutti gli indesiderati.
- Come sta il ragazzo? – chiese all’alieno che gli stava passando accanto.
- Brian? – gli chiese telepaticamente il tappo.
- Sì. – Franco si ostinava a parlare, anche se non ce n’era alcun bisogno – Si è svegliato? –
- Sì. E adesso è calmo. Sta parlando con un suo superiore dalla base lunare. – gli disse l’inespressiva maschera grigia che lo fissava da meno di dieci centimetri dal suo naso. E Franco pensò che spesso al risveglio si era più calmi. Chissà come pasticciavano coi pensieri di un umano, quei cosi, chissà se anche lui aveva più pensato i suoi pensieri da quando li aveva incontrati anni prima.
- Bene. Quando arriviamo? – chiese all’alieno ricordandosi della collina a forma di piramide e del ragazzo esploso per una bolla di gas, che puttanata, e quelli erano senza dubbio pensieri suoi.
- Tra due ore. – gli pensò il coso, poi accennò un sorriso e un inchino e si allontanò col suo passo leggero da ballerino.
Franco prese il suo promemoria, dove i dirigenti del programma, su ordine dei loro dirigenti che avevano preso ordini dai loro dirigenti, e così via fino alla Cupola che governava l’umanità, a voler credere ai più complottisti tra loro, quelli che dopo un po’ venivano colpiti da un qualche tipo di crisi mistica e scappavano in un monastero in India o in una Meteora in Grecia, e vide che avrebbe dovuto collaborare con i cosi grigi allo sviluppo di un nuovo motore da aereo capace di superare i sei G. Ottimo davvero, così più gente avrebbe volato da un capo all’altro del pianeta.
Masticò il fondo della penna ripensando a tutto quello che avevano avuto dagli alieni dal ’69 ad allora. Praticamente tutta la tecnologia che faceva andare avanti il nostro disgraziato mondo, motori, industria chimica, cementi, trasporti su rotaia, su gomma e via aerea. Praticamente ogni invenzione dalla missione Apollo ad adesso era stato in realtà l’adattamento di tecnologia gentilmente donata dagli alieni.
Guardò la Terra che si allontanava alla sua destra e ripensò agli inverni di quando era piccolo. Praticamente tutto il cambiamento climatico era cominciato dopo l’intervento dei cari amici. Sorrise battendosi la penna sugli incisivi; stava forse diventando paranoico? Sarebbe finito con la barba lunga e una bottiglia di vino, macché bottiglia, un cartoccio di Tavernello, avvolto nella carta da pane, seduto a un angolo di strada a sbraitare contro i complotti e gli alieni? Era successo ad alcuni che conosceva, e certi tra loro, pochi sì, ma c’erano, erano morti in strani incidenti.
Un po’ perdendosi in questi pensieri da paranoico, anche se i paranoici di solito non si trovano davvero su un’astronave aliena con accanto dei veri Grigi, anche se molti paranoici ne sono convinti, e un po’ facendo il suo lavoro, le due ore passarono e l’astronave atterrò sulla base aliena sulla faccia nascosta della Luna.
L’enorme astronave era leggera come una piuma nei suoi movimenti e l’atterraggio era più simile al fermarsi della metro alla stazione che all’atterraggio di un aereo sulla pista. Alieni e umani scesero sulla rampa e come al solito Franco si chiese come cavolo facessero quei ridicoli cosetti asessuati a mantenere un’atmosfera sulla loro base senza l’ombra di un contenitore di vetro o simile, perché di certo quella era una tecnologia che i cari amici non avevano ancora passato agli umani.
Dirigendosi verso la vera e propria base, che era formata da una serie di piattaforme di dimensioni via via decrescenti poste una sopra all’altra Franco notò ancora una volta l’incredibile somiglianza tra quella base e la collina che sorgeva accanto alla casa di Carla. Persino le dimensioni erano simili, per non parlare della costruzione posta sul cucuzzolo, qua il centro di comando e là un villone. Erano come i casi di convergenza evolutiva, pensò guardando la costruzione posta a un centinaio di metri sopra di lui, come il triceratopo che assomiglia al rinoceronte o al cervo volante, o come il delfino e l’ittiosauro. Cose diverse ma evidentemente uguali. Entrarono dall’ingresso principale, che sembrava un po’ un tempio egizio alla Karnak, con colonne tozze e una pesante architrave. Vicino a lui camminava il povero Brian, che aveva l’espressione di uno che si fosse appena fatto un paio di dosi di LSD, ma bisogna anche dire che nessun chimico sarebbe mai riuscito a creare delle visioni incredibili come quello che il ragazzo texano aveva appena vissuto davanti agli occhi esperti di Franco.
- Capito perché ci fanno firmare quel documento? –
Brian annuì senza parlare, roteando di qua e di là gli occhi come un pazzo, poi chiese: - Da quanto va avanti ‘sta storia? –
- Da quel che ne so, dalla missione dell’Apollo 11. O almeno noi sappiamo che sono qua da allora. Ma io penso che gironzolassero tra noi già da un po’. –
- E come fai a dirlo? –
Franco gli indicò l’entrata monumentale che stavano oltrepassando proprio allora e gli disse: - Non hai come un senso di dejà vu? -
- Perché? –
Mannaggia agli americani e alla loro ignoranza pensò sorridendo, poi pensò a cosa potesse aver visto al cinema e disse: - L’ antico Egitto, tipo Indiana Jones? –
- Non li ho mai visti quei film, sono vecchi. –
- Stargate l’hai visto? –
- Ah sì, bello. – disse, poi fece un paio di passi indietro e riguardando l’entrata disse: - Ah! È vero, sembra quella piramide. –
Franco gli sorrise e pensò che se quegli alieni stavano complottando contro gli umani e a governare gli umani c’erano i compatrioti di quel ragazzo, gli alieni potevano anche farla breve, avevano già vinto. Guardando con una nuova attenzione quel posto che aveva già visto almeno una decina di volte, e notando per la prima volta le iscrizioni sui muri, che gli ricordarono una forma davvero estrema di corsivo o anche le scritte in elfico del Signore degli Anelli, entrò nel salone da cui partivano i vari corridoi.
- Un caffè? – chiese al ragazzo che sembrava camminare a un palmo da terra, e non solo per la bassa gravità lunare, ma quello fece cenno di no e seguì il cicerone alieno che stava portando i nuovi arrivati a un giro turistico della base. Già visto, è tutto già visto, pensò entrando nel bar dove c’erano una decina di persone. Erano quasi tutti astronauti e li salutò con un cenno della mano, ma un paio di tizi erano in giacca e cravatta ed erano fuori posto come una mucca al parlamento. Uno dei due aveva all’incirca la stessa espressione di Brian. Era alto e magro, con capelli corti e occhiali. All’anulare destro portava un anello che aveva già visto al dito di molti tizi che sapevano degli alieni. Si sedette accanto a lui e disse, tanto per rompere il ghiaccio: - Prima volta qui? –
L’uomo dallo sguardo stravolto riconobbe l’accento e gli rispose in italiano: - Si vede eh? –
- Sembra uno che ha appena visto gli alieni. –
- Buona questa. – disse l’uomo accennando una risatina nervosa, poi gli porse la mano e disse: - Sono Filippo Malerba. –
- Quel Filippo Malerba? – gli chiese Franco rendendosi conto di essere seduto accanto a uno di quegli uomini che avrebbero potuto parlare da pari a pari con Barack Obama dall’alto di una montagna di soldi. E si rese conto anche che la maggior parte delle invenzioni gentilmente donate dagli alieni erano ora in possesso di quell’uomo e di un’altra manciata di miliardari in tutto il mondo.
- Sì. – l’uomo parve davvero imbarazzato, poi disse: - Quando il mio assistente, che lavorava già per mio padre, mi ha detto che oggi avrei conosciuto dei soci di mio padre di cui non sapevo ancora niente, mi sono immaginato un po’ di tutto, ma a questo non c’ero proprio arrivato. –
Franco sorrise e si apprestò a sentire qualche bella storiella interessante da uno degli uomini più ricchi del mondo, che solo quella sera, mentre si apprestava ad andare a dormire, capì essere anche l’uomo che abitava nella villa in cima alla piramide che aveva visto accanto alla casa di Carla. Ma allora ascoltò solo quello che l’uomo gli avrebbe raccontato.

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