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giovedì 6 dicembre 2012

LA CASA SULLA COLLINA. XXIV.

5

Alessandro.

Con le coperte tirate fin sulla testa Alessandro tentava di rimanere il più immobile possibile. In quel momento la cosa più importante era rimanere immobile.
Negli ultimi anni, da quando si era reso conto che nel buio ci possono essere mostri che vogliono mangiarti, idea che nasce nei bambini contemporaneamente alla consapevolezza che nel buio non c’è realmente nessun mostro che ti vuole mangiare, era giunto alla conclusione che i mostri, nel suo caso vampiri dai lunghi denti e dalla testa calva, risultato forse di quella volta che a tre anni era entrato in sala mentre sua madre e suo padre guardavano Nosferatu di Herzog, non possono vedere realmente i bambini, ma possono scorgere ogni minimo movimento delle loro ombre, e con la luna che si stava alzando lui di ombre, sul muro a cui era accostato il suo letto, ne proiettava di molto nitide, e così lui stava nascosto sotto alle coperte stando attentissimo a muovere il petto il meno possibile a ogni respiro, così come tentava di non fare rumore.
A nove anni sapeva benissimo che i mostri non esistevano, ma questa sua conoscenza della loro non esistenza non gli era di alcun aiuto nel buio della notte, quando i rami degli alberi si muovevano davanti alla sua finestra e i riflessi della luce arancione dei lampioni negli occhi dei suoi peluche sembravano effettivamente seguirlo quando si girava sotto al piumone.
E allora stava lì, raggomitolato come un cucciolo infreddolito, sicuro che a un minimo tremito di un suo dito del piede una mano rinsecchita e gelida, con lunghi artigli, gli si sarebbe stretta attorno alla caviglia e lui, prima ancora di vedere il volto terreo del vampiro, prima ancora di vedere che quei riflessi arancioni non erano gli occhi dei peluche ma quelli di un morto vivente, sarebbe morto di paura.
Sì, morto di paura, perché gli avevano detto che poteva succedere. A volte uno spavento poteva essere così grande, così spaventoso, se mi passate il bisticcio, che tu potevi solo urlare, così forte da slogarti la mascella, mentre il tuo cuore faceva un ultimo battito così enormemente forte da scoppiare. E così, tremando sotto alle coperte mentre la fronte gli si ricopriva di sudore per il caldo e la schiena per la paura, Alessandro pensava a un cuore che scoppia. Che rumore fa, pensava raggomitolandosi ancora di più, si sentirà una specie di POP in mezzo al petto, oppure sarà come lo scoppio di un petardo? E mentre il rumore del vento fuori sembrava l’ululato famelico di un mostro, immaginava che un cuore scoppiando potesse addirittura aprire il petto a un bambino come si apre un fico, e che al povero bambino morto di paura rimanessero esposti gli organi interni, tra spuntoni taglienti di costole, mentre sul viso, fino a che la sua carne non fosse marcita e dissolta dai vermi, sarebbe rimasta l’espressione di terrore folle che sarebbe stato il suo ultimo pensiero.
E ancora si stringeva in se stesso, ascoltando ogni singolo scricchiolio di quella grande casa costruita su fondamenta che suo padre gli aveva detto essere più antiche di un qualunque palazzo avesse potuto vedere in città, e ogni rumore gli sembrava l’avvicinarsi del mostro, così come il rumore che i suoi piedi facevano spostandosi sotto alle coperte, perché naturalmente ogni tanto si muoveva, era, non sembrava, il fruscio molliccio delle mani morte del mostro che si avvicinavano alle sue gambe.
E oltre a tutto questo, che ormai da mesi era ciò che Alessandro provava prima di addormentarsi, quella notte un’altra paura si era aggiunta al suo tormento. Perché già un paio di volte si era assopito, ed entrambe le volte si era svegliato più spaventato di prima, perché in sogno aveva rivissuto la sua giornata. E lì nel sogno il mostro che continuava ad incontrare non era un mostro pallido e calvo con lunghi denti incisivi, no, quello avrebbe potuto anche sopportarlo, perché da quel mostro avrebbe potuto in qualche modo difendersi, ma un mostro peggiore, che mai e poi mai avrebbe potuto allontanare da sé. Appena si addormentava, appena scivolava dall’altra parte, subito si ritrovava nel cortile davanti ai suoi compagni di scuola, e sempre vedeva Giulio e Walter afferrare il povero Mikael e sempre li vedeva cominciare a picchiarlo. E allora lui si avvicinava per aiutare quel povero piccolo, e la sua idea era quella di strapparglielo dalle mani e sgridarli, ma quando era lì, come era successo quel giorno e come ogni volta era costretto a rifare, dava uno spintone a Walter che cadeva a terra e poi, no!, No!, ecco che caricava un pugno con tutta la forza che aveva e spaccava il labbro a Giulio che cadeva a terra sputando delle goccioline di sangue mentre i suoi occhi roteavano all’indietro mostrando il bianco.
E poi Giulio cadeva a terra picchiando di testa sull’erba e lui rimaneva lì a guardarlo mentre la maestra arrivava correndo. E allora si svegliava con un urlo tra le labbra, e quell’urlo sarebbe stato così forte da spaccargli il cuore come un frutto maturo, perché dando quel pugno a Giulio, spaccandogli il labbro e facendogli girare gli occhi all’indietro, quello che aveva provato era piacere. E così rimaneva fermo nel letto, incapace di stare sveglio e terrorizzato dall’idea di riaddormentarsi, perché ancora e ancora avrebbe dato quel pugno e ogni volta avrebbe assaporato di più quel potere di dare dolore.
E alla fine, non resistendo più a quella tortura Alessandro saltò giù dal letto fregandosene del vampiro appostato nel buio dietro agli occhi del cane di peluche, perché forse andare in bagno, fare pipì e bere un po’ d’acqua lo avrebbero calmato, e perché forse la stretta di quegli artigli gelidi non poteva comunque essere spaventosa come il sorriso che si sorprendeva ad avere sulla faccia quando ripensava al viso tramortito di Giulio. Infilò i piedi nelle ciabatte e andò alla finestra, guardò giù nella strada illuminata dalla luna ormai calante e, nell’aiuola davanti a lui, vide una cosa che gli gelò il sangue più del vampiro e del male che aveva scoperto in sé. Là nell’erba, gli occhi fissi su di lui, una lupa dal pelo grigio lo fissava.
La luna si rifletteva nei suoi occhi freddi e sapeva che lei lo vedeva malgrado il vetro e le tende. E rimase fermo per un po’ a guardarla, le palle ridotte a chicchi di uva passa e il respiro mozzato, fino a che la lupa alzò il muso verso la luna e ululò. Prima ancora che potesse reagire, e la sua reazione sarebbe stata quella di buttarsi di nuovo sotto alle coperte a tremare, un ululato ancora più forte rispose alla lupa. E, un momento prima di tornarsene a letto per una notte di paura e incubi, Alessandro vide un enorme lupo bianco arrivare trotterellando vicino all’aiuola, camminando veloce verso la lupa grigia che lo stava spettando.

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