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giovedì 15 novembre 2012

LA CASA SULLA COLLINA. III parte.

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Aisha.

Una prova della non esistenza di Dio. Ecco cos’era quello che Aisha stava vivendo quella sera. Alla tivù davano il suo telefilm preferito, CSI New York, e il suo televisore era posizionato a tre metri e mezzo davanti al suo piccolo ma comodissimo divano in finta ecopelle, e questo in sé avrebbe rasentato la perfezione e la beatitudine, ma c’erano ventinove gradi e il novantuno per cento di umidità.
Con tre finestre aperte e indossando solamente una canottiera larga e sottile e degli shorts che una sua amica aveva giustamente definito dei mostra chiappe, Aisha si stava letteralmente squagliando sul divanetto, che essendo poi in finta ecopelle si appiccicava alla pelle umida come una ceretta di quarta categoria cigolando a ogni suo movimento. A forza di girarsi e rigirarsi sul divanetto mentre rivoli di sudore debordavano come fiumi in piena dalle sue sopracciglia andando a infilarsi negli occhi, si stava perdendo tutto il divertimento di vedere Gary Sinise che combatteva il crimine a forza di provette e pistolettate.
E così, mentre soffriva questo supplizio, vide sullo schermo la vittima predestinata, il tizio a caso che muore all’inizio della puntata, che andava a buttare la spazzatura nel bidone dove di lì a poco sarebbe stato gettato a sua volta.
- Cazzo! – disse Aisha – Cazzo cazzo merda! La spazzatura! -
Erano le nove di sera, il camion sarebbe passato di lì a pochi minuti e lei non l’aveva ancora portata giù. A tenerla in casa una altro giorno avrebbe puzzato come una carogna, ma anche il bidone era proprio a meno di due metri dalla finestra della sua camera da letto, finestra che naturalmente non chiudeva per il caldo, e anche se fosse rimasta lì l’avrebbe sentita.
Intanto però in tivù il tizio era stato ucciso e c’era la pubblicità. Fece velocemente i conti. Sei o sette spot, tgcom, il promo di un fetido programma comico che non avrebbe guardato neanche se torturata … ce la poteva fare.
Scattò in piedi con le sue infradito ai piedi, caracollò fino in cucina, chiuse il sacchetto con il nastrino ivi accluso, prese le chiavi dalla mensola e si scaraventò giù per le scale. Uscì dal portone, sciabattò fino al vi-colo girando l’angolo, gettò il sacchetto dentro al bidone. Dalla finestra sentiva la televisione, pubblicità. Eh! Eh! Ce l’avrebbe fatta! Chiuse il bidone con calma, la vicina del piano di sopra si era lamentata una vol-ta, e si diresse verso la strada su cui si affacciava il portone. E si vide riflessa in una vetrina. Era praticamen-te nuda. C’era buio, non c’era nessuno in giro, e i suoi capezzoli spingevano gagliardamente in fuori la tela lisa e sbiadita della sua canottiera un tempo rossa. Mentre camminava le tette le andavano su e giù molto vistosamente.
- Cazzo! – disse dimostrando di avere un vocabolario veramente degno di una quasi laureanda in lettere. – Speriamo di non incontrare nessuno, merda! – e svoltò l’angolo.
E in effetti non incontrò nessuno, se con la parola incontrare si vuole dire un imbattersi casualmente in qualcun altro. Quei tre la stavano aspettando, e fecero in modo di non essere visti, come predatori nella savana.

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