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lunedì 26 novembre 2012

LA CASA SULLA COLLINA. XIV.

3

Carla

Seduta a capotavola, sì, va be’, due sedie c’erano, seduta a tavola, Carla si guardava intorno cercando difetti. I quadri, regalati dal papà che si riteneva un intenditore, erano dritti. Le tende erano pulite, il pavimento spazzato e lavato, con una abbondante mano di cera, tra l’altro, e aveva pulito con cura anche sotto ai mobili, dove non le pareva che si annidassero orrendi riccioli di povere.
Amalia sarebbe stata la prima persona a essere ospite in casa sua, sua!, e voleva fare una bella figura.
Tirò fuori dal frigo i pasticcini che aveva comprato, bignè, cannoli e tortine strambe ma piene di creme appetitose, controllò che il tè fosse ancora caldo e posò la caffettiera, pronta per metterla sul fuoco, sui fornelli. Mancava qualcosa? No, non le sembrava.
Si alzò e fece un giro della casa, tutte e tre le camere le sembravano in ordine e il bagno, lo aveva lavato due volte per sicurezza, pensava davvero che fosse come uno di quei bagni delle pubblicità dove un bambino, evidentemente deficiente, sta coricato in terra a giocare con le macchinine. Ma non ce l’ha una stanza sua, cazzo, ma sul pavimento del bagno? Con il suo fazzoletto tentò di togliere un alone dallo specchio, ottenendo solo un alone più vasto e sfumato, controllò di non avere pezzetti di insalata nei denti, il che sarebbe stato difficile essendosi lavata i suddetti denti per tre minuti e non avendo mangiato insalata da tre giorni.
Tornò in cucina, guardò l’orologio, erano le cinque e ventisei e Amalia doveva arrivare per le cinque e trenta, prese il giornale e cominciò a scorrere le notizie in prima pagina per fare passare i minuti. Obama qua, Romney là, E il Berlusca si ritira, e il Berlusca rilancia, Renzi dice questo, Bersani risponde quello. Ogni volta che leggeva quelle notizie le sembravano di più un teatrino dei pupi, dove ogni personaggio arrivava sul palco e diceva le sue battute. “Io sono il Cavaliere e le donne fo godere.” diceva il pupo basso e color mattone, e saliva l’altro e diceva “Io sono il segretario e non sto qui a smacchiar il giaguario”, sì, lo sapeva, le rime non erano mai state il suo forte, e il prode presidente nero, e l’infido pretendente miliardario … che vincesse uno o l’altro, chissà perché, andava sempre a finire che c’erano guerre, più tasse ai poveri e più inquinamento.
- Mah! – disse chiudendo il giornale e rimettendolo al suo posto sul mobiletto, - Sto proprio diventando una vecchia brontolona. - e mentre controllava di nuovo l’orologio, ore cinque e trenta minuti e sedici secondi, sentì suonare alla porta. Corse a rispondere e disse al citofono, sorridendo, come se Amalia avesse potuto vederla, - Chi è? –
- Sono Amalia. – disse la voce allegra della bidella.
Carla schiacciò il tasto e sentì il rumore del portone che si apriva. – Sono al terzo piano. Vengo a prenderti con l’ascensore? –
- No grazie, cara, risparmio sulla palestra. – le rispose Amalia e Carla aprì la porta che dava sulla scala più anonima e triste che avesse mai visto. Dopo meno di un minuto Amalia sbucò sul pianerottolo con un pacchetto in mano. Era una confezione di dolci artigianali, una di quelle dove si è soliti stipare vari tipi di bignè, cannoli e tortine strambe piene di creme appetitose.
- Ho portato qualche dolcetto. – disse sorridendo Amalia e Carla, facendola entrare con il sorriso sulle labbra, le indicò lo stesso medesimo pacchetto, pure il fiocco del nastrino dorato era uguale, già posato sul tavolo. Le due donne si guardarono e scoppiarono a ridere incontrollabilmente. Quando riuscirono di nuovo a guardarsi senza essere sopraffatte dalle risate, erano ormai amiche.
- Io riesco a mangiarne moltissime. – disse ridendo ancora Carla.
- Io non ho mai avuto un fondo, se è per questo. – le rispose Amalia, e posò sul tavolo il suo cabaret di dolci accanto all’altro. Due bellissimi gemellini, non c’è che dire.
Carla prese la giacca di Amalia, che vestita da donna e non da bidella era una graziosa signora di cinquant’anni che ne dimostrava forse cinque di meno, e andò a posarla sul letto, poi tornò in cucina e trovò l’amica che guardava dalla finestra. – Strada abbastanza anonima, vero? –
- Niente a che fare con l’altro lato. –
- Eh sì. – disse Amalia. Poi si girò e le chiese: - Abiti qui da tanto? –
-Una settimana. Giusto il tempo di portare qualche mobile, alcuni c’erano, sai?, e dare una pulita. –
- È strano vivere in una casa nuova, no? Ci si sente come estranei, e al risveglio, non si sa bene dove si è, vero? –
Carla annuì sorridendo e poi disse: - Per non parlare di quando ci si alza di notte per andare in bagno. Se accendi la luce ti passa il sonno, ma … -
- Ma se tieni le luci spente picchi in tutti gli spigoli. – finì la frase Amalia e di nuovo risero.
- Pasticcino? – le chiese Carla prendendo la sua confezione.
- Sì grazie. –
- Caffè o tè? –
- Caffè, grazie. –
Carla si alzò, accese il fornello e tenne la manopola schiacciata per qualche secondo perché rimanesse acceso. Provò, non ancora, aspettò altri due o tre secondi, ora sì, e mise su la caffettiera. – Tra tre minuti avrai il tuo caffè. Sappi che non mi è mai venuto buono in vita mia. –
- Non c’è problema. Ci metto sempre una goccia di latte. –
Carla aprì il frigo e tirò fuori una confezione di latte da mezzo litro. La posò sul tavolo accanto alla tazzina di Amalia. Poi vicino alla tazzina a e al latte posò un piattino da dolci con vezzosi disegni di animaletti saltellanti che nella fantasia del ceramista dovevano essere coniglietti.
- Latte intero? – le chiese Amalia.
- Volevi il latte scremato? –
- Neanche pagata. Temevo che fossi una da latte scremato o da latte di soia, - e la sua faccia si arricciò in un’espressione di disgusto quando disse “latte di soia” – Sai, sei così in forma. –
- Grazie. Non è merito mio, quando mangio sono abbastanza simile a una fogna. Quando il metabolismo mi molla … - e fece un cenno allargando i gomiti e facendo un verso come di qualcosa che cede sotto al suo stesso peso – Divento una sfera. – e rise.
Amalia sorrise e disse: - Basta sposarsi prima. Tanto dopo un paio di anni di matrimonio, e io sono ormai a ventuno, che tu sia Cameron Diaz o Katie Bates, per tuo marito sarai sempre quella cosa voluminosa che gli russa accanto. –
- Mi hai fatto venire voglia di sposarmi, sai? –
- Dovere. Tra amiche ci si aiuta. – e tutte e due risero. Poi Carla si alzò, controllò la caffettiera e spense il fornello quando fu piena. Tornò al tavolo, riempì la tazzina di Amalia che completò il caffè con una goccina di latte, si sedette anche lei, mise anche lei un po’ di latte nel caffè e, quando tutte e due ebbero un paio di bignè nel piatto, Amalia disse: - Vorrai sapere dell’attentato, no? –

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