Archivio blog

martedì 20 novembre 2012

LA CASA SULLA COLLINA. VIII.

6

Il padre.

La gocciolina si gonfiò come una gemma su un albero a primavera, superò la dimensione che le permetteva di rimanersene su appesa e … PLIC cadde nel contenitore dove formò quattro cerchi concentrici. Fu solo quando si stava formando un’altra goccia, gonfiandosi lentamente sulla bocca del tubicino, che lui riuscì finalmente a respirare. Fu come riemergere da un abisso, come la volta che a sette anni era caduto nel lago ghiacciato quando il sottile strato bianco si era rotto e l’acqua gli aveva subito rubato tutto il calore corporeo. Aveva dovuto nuotare verso la superficie, ma era come muoversi con un vestito di piombo, i muscoli non volevano flettersi per riportarlo su.
Gonfiò il torace, non aveva mai imparato a respirare di diaframma e forse ora lo rimpiangeva, riuscì a gonfiarlo facendo uno sforzo tipo Ercole che soffoca Anteo, e sentì l’aria infilarglisi giù per la gola stretta come i cordoni della borsa di un avaro quando gli chiedi dei soldi, e poté ascoltare con le sue vecchie orecchie il gorgoglio di quello schifoso liquido che lo stava annegando da dentro.
Buttò fuori l’aria che doveva sapere di morte come lui adesso, e si preparò allo sforzo necessario per il prossimo respiro. Avrebbe aspettato altre tre gocce nella flebo, mentre il mondo attorno a lui si faceva più buio e confuso e il mormorio dell’ossigeno che lo aiutava a vivere riempiva la stanza.
Aveva avuto un nome, una volta, ma non lo ricordava più. Aveva avuto una moglie, e l’aveva ancora perché ogni ora veniva da lui a parlargli e a tenergli la mano, ma ricordarsi di lei sarebbe stato uno sforzo troppo grosso. Doveva respirare, e già quello era quasi impossibile.
Fino al giorno prima ce l’aveva fatta a pensare a quello schifoso cancro maligno che gli stava invadendo i polmoni, oltre che una buona metà di tutti gli altri suoi organi, ma ora era come un alpinista che abbia superato gli ottomila metri. Ogni singolo passo era come una parete di roccia, ogni respiro era come un giro di campo a tutta velocità. Cadde la terza goccia e lui gonfiò il petto. Il male seduto sul suo sterno rise dei suoi sforzi, lo vide quasi cedere, ma alla fine un piccolo soffio d’aria fresca riuscì ad entrare. I polmoni gli bruciavano incredibilmente quando respirava, ma subito tutto fu più chiaro, il soffitto ritornò bianco e il mormorio dell’ossigeno riprese il suo ritmo.
Espirò mentre una lacrima gli scendeva sulla guancia fino all’orecchio. Si rimise a contare le gocce. La vide alla bocca del tubicino, la seguì mentre sembrava ingravidarsi ogni secondo di più, la vide cadere. Uno. ancora due e avrebbe di nuovo respirato.
A questo si era ridotto il suo mondo. A contare le gocce e a gonfiare a fatica il petto che gli sembrava gravato da un masso a ogni goccia più pesante. Ma Filippo stava per arrivare.
Non ricordava il suo nome, non ricordava la moglie, non ricordava neanche più quando il respiro era stata una cosa innata, di cui neanche si accorgeva. Ma ricordava Filippo. Più il mondo si restringeva attorno a lui, prima la casa e l’ospedale, poi quella stanza e il bagno, e poi quella stanza e poi il letto, e ora, proprio ora, una goccia e uno spicchio di soffitto sopra di lui, più quel figlio per nulla amato risaltava tra le altre cose.
Si era reso conto di dovergli parlare, poteva sopportare quell’agonia all’infinito, pur di potergli parlare. Non ricordava neanche cosa dovesse dirgli, lo avrebbe ricordato al momento, con un po’ di fortuna, ma sapeva, la sua mente lo urlava in quel silenzio mormorante che era diventato il suo mondo, che doveva vederlo lì davanti a sé, per potergli dire … cadde la terza goccia. Raccolse tutte le sue forze e spostò il monte di roccia che gli stava appoggiato sul petto, un monte di roccia che rideva di lui, gonfiò il petto e sentì l’aria fredda della bombola che gli si infilava giù come acqua su un terreno spaccato dalla siccità, e per un attimo vide meglio il viso del figlio.
Sputò fuori quell’aria dai suoi polmoni allagati e si rimise a fissare la flebo. La goccia si stava appena cominciando a formare. Presto sarebbe sbocciata in un PLIC che si sarebbe perso nel gorgogliare dell’ossigeno. E dopo di lei ci sarebbe stata un’altra goccia, e poi un’altra. E così fino all’arrivo di Filippo. Gli avrebbe parlato, gli avrebbe detto quello che doveva quando lo avesse visto lì davanti al letto e poi, poi avrebbe potuto chiudere gli occhi e fregarsene di spostare quel masso. La goccia cadde.

Nessun commento:

Posta un commento