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mercoledì 28 novembre 2012

LA CASA SULLA COLLINA. XVI.

5

1974

Sembrò loro di passare dal giorno alla notte. La luce entrava solo dalle finestre a est che erano molto in alto e il buio era quasi spesso. Al centro, tra le due schiere di panche, una lunga striscia di pietre tombali chiare, dove erano sepolti i frati che erano vissuti lì nei secoli passati. Con le centinaia di luci tremolanti delle candele che brillavano in costellazioni disordinate ai lati, sembrava una via lattea nel cielo notturno.
La Amantini zampettava allegra davanti a loro, indicando con le sue mani magre i quadri e gli affreschi che li contornavano da ogni parte.
- Lo vedete quello? – chiedeva ai ragazzi che parlottavano annoiati tra loro – Lo vedete quel San Giorgio che uccide il drago? Si dice che sia un Caravaggio. –
Passò in un corridoietto tra le vecchie panche di legno scuro e si andò a posizionare sotto al quadro. Sembrava che la spada di San Giorgio la indicasse come la freccia dell’angelo nell’Estasi di santa Teresa. E effettivamente lei era quasi in estasi, non solo per quel quadro, ma per tutta la storia che si ammassava in quelle pietre che da si ergevano su quella tozza collina da qualcosa come milleseicento anni.
- Vi rendete conto, ragazzi, che questa è una delle prime chiese del mondo? Fu l’imperatore Costantino a farla costruire, prima ancora di San Pietro. –
Su ventitre ragazzi che la stavano seguendo, forse solo tre o quattro la stavano a sentire. E anche il professor Giunti si allontanava, girava tra i banchi con fare svagato tentando di non fare capire alla collega quanto si stesse rompendo le balle.
Amalia invece seguiva la prof, i quadri le piacevano, e soprattutto quello lì, quel Caravaggio, le dava un’idea di sicurezza, sembrava che la luce che illuminava San Giorgio e il suo cavallo, quella luce che solo marginalmente lambiva quello strano rettile che per il pittore doveva essere un drago, a essere sinceri le sembrava che illuminasse anche il mondo esterno alla tela, così come il buio da cui emergevano il santo e il cavallo le sembrava originarsi dal buio in cui lei stessa si muoveva.
- Caravaggio non dipinse nessun altro quadro raffigurante mostri o altre stranezze, sai Amalia? È anche per questo che molti dicono che non è suo ma di un suo allievo.
- E lei che ne dice, prof? –
La Amantini la guardò e sorrise, e fu solo in quel momento che Amalia si rese conto che sotto a quel muccio quaresimale, dietro a quegli occhiali spessi, c’era una donna ancora giovane, una donna anche bella, a modo suo. – Per me? – le chiese.
- Sì. Per lei è di Caravaggio? –
La Amantini si girò e allungò una mano verso il grosso dipinto che incombeva su di loro, parve quasi sfiorarlo da distante, poi disse: - Per me sì. Ci giurerei,davvero, ci scommetterei qualunque cosa. –
Amalia rimase in silenzio, aveva colto una sincerità assoluta e commovente nelle parole della severa prof e sentì di essere stata trattata, forse per la prima volta, da adulta da un altro adulto. E fu allora che la Amantini riprese a parlare e disse: - Per me è il capolavoro di Caravaggio, mai più né prima né dopo Caravaggio ha dipinto qualcosa di così incredibilmente vivo e necessario. –
Amalia fu quasi spaventata dalla sincerità della donna che le stava parlando, ebbe l’impressione di aver visto il suo cuore pulsare nel buio davanti a sé, ma qualcosa la distrasse da quel pensiero.
Fu l’uomo seduto sulla panca alle loro spalle a distrarla, così come anche la Amantini si girò a guardarlo. Si erano già accorte del suo sommesso borbottare, naturalmente, ma lo avevano preso per una preghiera. Ma allora l’uomo alzò la voce e cominciò a pronunciare frasi sconnesse urlando. Tutti nella chiesa si voltarono verso di lui.
- Perché? – urlava l’uomo in piedi davanti alla panca, intabarrato in un giaccone troppo pesante per la stagione – Perché il mio Roberto? Perché hai preso il mio Roberto? Maledetto Dio! Rispondimi! – urlò alzando le braccia al cielo come un orante antico, mentre Amalia e la prof si allontanavano da lui di un paio di passi con la pelle increspata dal terrore.
- Dimmi perché, stronzo maledetto! Dimmi perché! – urlò, poi infilò la mano sotto al giaccone e ne estrasse una pistola che dava l’idea di essere vecchia di mezzo secolo almeno. La Amantini si mosse come un felino, andandosi a mettere tra l’uomo e Amalia, ma l’uomo fu più veloce di lei e quando si infilò la pistola in bocca e fece fuoco Amalia riuscì a vederlo perfettamente.
Il rumore fu assordante e rimbombò tra gli archi della chiesa diverse volte, ma quello che colpì Amalia fu l’incredibile quantità di sangue che uscì dall’uomo. L’intera calotta cranica fu scaraventata in aria in una nuvola di sangue e cervello vaporizzati, mentre dalla bocca e dal naso il sangue usciva in due fiotti che nel buio della chiesa sembravano neri.
Passò almeno un secondo prima che l’uomo cadesse, forse due, e Amalia poté vedere gli schizzi di sangue arterioso che venivano spruzzati fuori dalla testa scoperchiata del suicida arrivando a qualcosa come tre metri di altezza. Uno spruzzo di sangue investì lei e la professoressa mentre l’uomo rovinava a terra e anche il bellissimo quadro del Caravaggio fu lordato da quel liquido caldo che odorava di rame surriscaldato.
Amalia cadde a terra con gli occhi sbarrati, vedendo come a trecento sessanta gradi quello che avveniva intorno a lei. Tutti guardavano l’uomo che sussultava sul pavimento mentre il sangue, ormai quasi del tutto privo di pressione, allagava il lastricato di marmo e ardesia. Due sue amiche, Annalisa e Marina, piangevano abbracciate una all’altra, mentre Marco vomitava stando appoggiato a una panca con il braccio sinistro.
Un prete anziano correva verso il moribondo in un ridicolo svolazzare della tonaca, mentre la Amantini, il volto sporco di rosso come quello di un indiano sul piede di guerra, si accucciava a controllare il suicida.
- Cos’è questo rumore? – disse a bassissima voce, ma Amalia in quel momento avrebbe sentito anche il battito d’ali di una farfalla all’altro capo del mondo, e poi aprì il giaccone dell’uomo. Quello che indossava sembrava uscito da un fumetto, in un altro momento Amalia vedendo quelle cose sarebbe forse scoppiata a ridere. Intorno al petto aveva legati dei candelotti di esplosivo, lei ne vedeva una decina, ma sembravano continuare anche sul dorso, e attaccata a questi con dei cavi e del nastro adesivo, una sveglia ticchettante. Una bomba da fumetto, come l’avrebbero disegnata in Topolino, ma non rise allora Amalia, e neanche la Amantini.
- Mio Dio! – disse la professoressa, nota a tutti per il suo ateismo militante, e si girò verso Amalia mentre si alzava. – Via! – le urlò e la sollevò quasi di peso, lei che pesava sì e no quarantadue chili bagnata, correndo verso l’uscita.
E furono così veloci da riuscire a uscire dalla chiesa, si trovarono fuori sotto a quel sole caldo, contornate dalle mostruose e grottesche figure del portale, e se Amalia fosse stata anche minimamente in possesso delle sue facoltà mentali, avrebbe continuato a correre fino all’altro lato della piazza, o anche fino in Cina, se il fiato l’avesse aiutata. Ma Amalia non sarebbe stata neanche in grado di arrotolarsi i pollici in quel momento e, quando la Amantini si voltò a guardare all’interno, vedendo che i suoi allievi erano ancora tutti all’interno, poté solo rimanere lì ferma a guardarla tornare all’interno per salvare i suoi ragazzi. Anzi, a essere sinceri, il suo corpo reagì al movimento della professoressa facendole muovere un paio di passi verso l’interno, fino ad avere solo una spalla illuminata dal sole.
La Amantini raggiunse Marco, un ragazzo alto e magro, uno dei più grandi rompiballe versione simpatica che avesse mai frequentato le aule di una qualunque scuola della Penisola, e cominciò a trascinarlo verso l’esterno come già aveva fatto con Amalia, urlando nel frattempo alla ragazzina di tornare indietro.
E allora avvenne qualcosa alla povera Amalia, qualcosa che forse è paragonabile all’effetto di potenti sostanze stupefacenti tipo LSD o altre diavolerie simili, perché la sua percezione si ampliò fino a diventare totale. Vide l’espressione di terrore stampata sul volto di ogni suo singolo compagno, vide la goccia di merendina appena vomitata sul giaccone di Marco, vide chiaramente le dita della Amantini stringere il braccio del ragazzino fino a infilargli un’unghia nella pelle del polso. E vide la tonaca del prete svolazzare intorno ai suoi calzini blu mentre il povero ometto calvo si allontanava dal corpo del suicida, che sembrava essere percorso ancora da lievi tremiti. E vide una suora alzarsi dalla sua panca con il viso bianco come il gesso e alzare la mano destra con l’indice puntato alla fronte, per fare il gesto iniziale del segno della croce, riuscendo a percepire anche l’inizio della ridiscesa della mano verso il basso, e pur sapendo che quella mano sarebbe dovuta arrivare a toccare lo sterno, quel gesto si interruppe lì, con l’unghia dell’indice all’altezza della gobba del naso.
E, ma credetemi di questo fatto non riuscì a convincersi davvero neanche lei in tutto il resto della sua vita, Amalia riuscì a vedere l’esplosione dei candelotti legati sul petto dell’uomo. Vide il terzo di loro, che toccava con la sua parte terminale la cintura di cuoio marrone con fibbia color acciaio, lo vide trasformarsi istantaneamente in luce, seguito da tutti gli altri, e vide questa luce allargarsi in un alone abbagliante prima che lo spostamento d’aria, l’onda d’urto dell’esplosione stessa, annichilisse il corpo del suicida invadendo tutta la navata e poi tutta la chiesa in un’enorme fiammata.
Mentre accadeva tutto questo il suo corpo, perché era il suo corpo ad agire, essendo il suo cervello totalmente annullato dal terrore, le fece fare un paio di passi indietro, ponendola così all’esterno della chiesa, dove l’esplosione non l’avrebbe dilaniata, ma solo sbalzata via come una piuma, andando a sbattere contro un’auto a qualcosa come trenta metri dal portale.
E mentre l’onda d’urto la sollevava lasciandole a terra le scarpe, mentre l’aria incandescente la investiva dando fuoco alla manica dell’avambraccio destro che aveva alzato davanti al viso per difendersi, mentre la stessa aria le penetrava in bocca e nelle narici ustionandola, mentre i suoi capelli prendevano fuoco trasformandosi in una sorta di aureola come quelle che aveva visto pochi minuti prima in un mosaico posto alla sinistra dell’altare, proprio in quel momento Amalia, la cui percezione sensoriale era oramai totalmente fuori scala, vide qualcos’altro.
Dal pavimento della chiesa, dagli interstizi tra le pietre del pavimento, dalla spaccatura che divideva in due triangoli irregolari la lapide di frate Maurilio Scattini morto nel 1619, Amalia vide emergere qualcosa. Fu qualcosa di così insolito, di così inaspettato, che la sua mente fece fatica a incasellarlo.
Si dice che gli indiani di San Salvador, all’arrivo delle caravelle di Colombo, non riuscirono a vederle avvicinarsi all’isola, perché il loro cervello non era preparato a vedere barche così grosse. E così Amalia, che per tutta la sua vita aveva visto, e di lì in avanti avrebbe continuato a vedere, cose fisicamente normali, non poté comprendere totalmente quello che vide uscire dal pavimento della chiesa, finendo poi per decidere che si era trattato di un’allucinazione del suo povero cervello shoccato.
Ma quello che vide, quello che i suoi occhi percepirono con chiarezza inumana, fu una luce. Una luce buia, che sembrava aspirare da tutto quello che aveva intorno la luce normale.
Vide questa luce allargarsi in mezzo alle fiamme dell’esplosione che stavano avvolgendo i corpi scaraventati per aria della Amantini e di Marco, e la vide prendere come una forma, la vide consolidarsi in un qualcosa che per un istante, prima di cedere al trauma e di spegnersi per i successivi tre giorni, il suo cervello credette di riconoscere come un lupo.
E poi le fiamme l’avvolsero scagliandola sull’auto e tutto quello che accadde dopo per lei cessò di esistere. Sarebbe tornata a vedere e a sentire solo tre giorni dopo in ospedale, e nei mesi successivi avrebbe visto e sentito soprattutto tristezza e dolore.

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