Archivio blog

domenica 18 novembre 2012

LA CASA SULLA COLLINA. VI.

4

Kevin

L’odore di quel posto non gli piaceva. Due anni prima, una notte che pioveva troppo forte e con troppo vento per usare la tenda, avevano dormito in un grosso stabile abbandonato. Filippo aveva detto qualcosa sulla scritta là in alto, “Macello” aveva detto che c’era scritto, ma questo naturalmente lui non lo aveva capito. Ma l’odore di quel posto, le grida che continuavano a rimbombare tra quelle mura scrostate e che Filippo come tutti gli umani non poteva sentire, quelle cose le aveva sentite e capite benissimo.
Non aveva dormito quella notte, non avrebbe potuto, e se non fosse stato per Filippo che lo aveva costretto a stare con lui sul sacco a pelo, se ne sarebbe stato sotto alla pioggia. Quel posto puzzava di morte e gridava ininterrottamente.
E ora, in questo paese che Filippo chiamava casa, era ancora peggio. Le finestre delle case li fissavano, sembrava che anche i lampioni si girassero al loro passaggio per spiarli.
La puzza che sentiva, non col suo sensibilissimo naso, ma proprio dietro agli occhi, gli trapanava la testa. Avrebbe preferito la puzza di morte del macello, perché quella puzza di due anni prima era una puzza morta. Questa era come i vermi che una volta gli erano cresciuti sotto a una crosta di un taglio, quei vermi che Filippo e un veterinario gli avevano tolto con le pinzette. L’odore di questo posto ti mangiava vivo da dentro, l’odore di questo posto tentava di pensare per te.
Il Male e il Bene non erano alla portata del suo piccolo cervello di cane, ma li poteva avvertire intorno a sé. Filippo era sempre stato il Bene, ne era sicuro, ma quella puzza risuonava su una vibrazione che corrispondeva a quella di Filippo. E poi c’erano tanti pensieri. Li poteva avvertire come un tremito dei suoi baffi, come odori portati dal vento. Il dolore di una donna, la rabbia e la cattiveria gratuita di un branco di bestie. Lui non era mai stato cattivo, ma poteva avvertire l’impulso che muoveva quei tre lupi. E non c’è animale al mondo che un cane odi più di un lupo.
E Filippo sembrava non accorgersi di tutto ciò, e andava avanti ignorando i suoi segnali e la sua paura, come quella volta che li aveva fatti finire su una frana e si erano quasi ammazzati. Filippo poteva leggere, poteva parlare, cose che lui sì e no poteva appena afferrare come concetti, ma era cieco e sordo più di un neonato alle sensazioni e all’energia dei luoghi.
Ma lui era il cane, e Filippo era il suo umano. Se si fosse buttato nel fuoco, lui lo avrebbe seguito per tentare di tirarlo fuori.
Poi passarono davanti a una rientranza, un vicolo disse Filippo, boh!, e Kevin avvertì di nuovo, e più forte, il dolore e la paura di quella donna. E seppe, meglio di come sapeva di dover camminare su quattro zampe, che quel posto bastardo voleva che Filippo la trovasse. Il suo istinto gli diceva di correre dal bidone e piangere per segnalargliela, ma contemporaneamente gli urlava di fuggire trascinandosi via il suo umano.
E lei gemette, gemette e si mosse nel bidone. Filippo si gettò come un cucciolo su una vipera, guardò nel bidone e vi saltò dentro. Kevin ebbe l’impressione che fosse saltato su un piano inclinato unto e insaponato per bene, e che avesse cominciato a scivolare giù.
Non potendo gridargli di fermarsi, non potendo assolutamente spiegargli il pericolo che avvertiva perché il suo piccolo cervello istintivo non concepiva neanche i concetti di discorso e spiegazione, fece l’unica cosa che gli sembrò giusta e possibile. Rimase lì accanto al suo padrone, come sempre aveva fatto, per dividere il suo destino con lui.
Filippo uscì dal bidone con la donna in braccio, era coperta di sangue e di liquidi schifosi, oltre che di fluidi maschili, e quegli odori disgustarono Kevin. Erano l’odore di quel posto, marciume, dolore, cattiveria, sopraffazione. Filippo urlava verso quelle finestre che, ma come faceva a non accorgersene, lo spiavano ridendo di lui e di quella povera donna, e poi una vecchia donna totalmente impregnata della puzza di morte di quel posto, fatta per davvero di quel posto orrendo, si affacciò e parlò con Filippo. Kevin non capiva le parole, ma la falsità sì. Quella donna era falsa come lo strato di ghiaccio sottile su un lago in inverno, come una buca in un torrente su sui stai giocando a lancia i sassi e riportali.
E poi … poi il povero Kevin sentì il legame tra lui e Filippo assottigliarsi sotto alla forza di trazione di quel posto marcio, lo sentì sfilacciarsi come il telo di una cuccia che hai grattato troppe volte. E sentì tutta la malvagità di quel posto stringersi intorno a loro.
Quel posto lo voleva morto, proprio quella sera, e senza l’aiuto di Filippo non ce l’avrebbe proprio fatta a salvarsi.
Ma ancora di più quel posto bramava Filippo. E Kevin non sarebbe stato lì con lui per difenderlo.
Ma questi concetti erano troppo difficili per lui, il povero cane poté solo accucciarsi con il muso sulle zampe anteriori e guardare il suo padrone che si allontanava da lui stretto a quella povera donna, mentre una nebbia oscura sembrava nasconderli ai suoi occhi.
E quando arrivò quella grossa macchina, - Ecco l’ambulanza. - Disse sorridendo Filippo, quando dovendo scegliere se stare con lui o accompagnare la ragazza che non voleva staccarsi dalla sua mano, Filippo scelse lei, Kevin aveva già capito di essere sconfitto. Quello che venne dopo, non cambiò molto per lui. Il suo umano aveva ceduto al male di quel posto e lui era stato abbandonato.

Nessun commento:

Posta un commento