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giovedì 29 novembre 2012

LA CASA SULLA COLLINA. XVII.

6

Carla

- E questa è la storia dell’attentato alla chiesa della Pigna, dove ho visto vaporizzare i miei amici e la mia prof di italiano, mi sono guadagnata queste belle cicatrici, e ho perso un anno di scuola. – disse Amalia.
Carla rimase in silenzio con il mento appoggiato alle nocche della mano destra e con l’unghia del mignolo tra le labbra. Quando ascoltava qualcuno, quando ascoltava davvero qualcuno, in un modo o nell’altro finiva sempre per ciucciarsi un dito come Maigret avrebbe fatto con la pipa. Non disse niente mentre vedeva l’amica ritornare la stessa donna tranquilla di prima, perché mentre raccontava le era sembrata come ringiovanire e tornare simile alla ragazzina che era stata sbalzata via dall’esplosione. – Chi era Roberto? –
- Quello che chiamava quel tizio? Suo figlio, era morto in un incidente d’auto un mese prima. –
- Ah! – disse, poi dopo un po’ aggiunse: - E prima, mentre raccontavi mi è sembrato che … quando mi hai detto dell’esplosione, mi è sembrato che stessi per dire qualcosa. Hai detto di aver visto che ... e sei passata ad altro. Cosa avevi visto? –
Amalia sorrise, si guardò le dita che teneva intrecciate, poi disse: - Niente. Penso che sia stato lo shock, è stato lo shock. Mentre quelle fiamme mi venivano addosso, mi è sembrato che dal pavimento uscisse qualcosa. Ma era la mia mente che cedeva. –
- E cosa avevi visto? –
- Ti metterai a ridere. –
- No. –
- Un lupo. Non l’avevo mai detto a nessuno, cazzarola, ho visto un lupo. È come evaporato fuori dal pavimento della chiesa e l’ho visto dentro all’esplosione. Un enorme lupo bianco. –
- Un enorme lupo bianco? – chiese Carla.
- Sì. Buffo no? –
- No. Strano. E che faceva ‘sto lupo? –
- Si guardava intorno, e si scrollava come se si fosse appena svegliato. E poi mi ha guardato e mi ha sorriso. –
- Mentre l’esplosione ti scagliava dall’altra parte della piazza? –
- Sì. Si è scrollato, si è guardato intorno con occhi un po’ assonnati e poi mi ha sorriso. –
- Strano. –
- È stato orribile. – disse Amalia velocemente, la cosa più orribile del mondo. -
- Posso immaginare. – disse Carla sapendo che non era vero. Come quando vai dall’amico a cui è appena morta la madre dopo un tumore di anni e gli dici che capisci cosa prova. Non è vero. Lo sai te, lo sai lui, dà fastidio a te e ne dà a lui, ma lo dici lo stesso. E così lei disse – Posso immaginare. – e tutte e due capirono che il bel pomeriggio insieme era finito. Ci furono altre frasi, altri discorsi, anche altre risate, ma solo perché tutte e due non volevano finire quelle che erano state due belle ore con un momento di finzione e imbarazzo.
Mangiarono delle altre paste, senza dubbio di troppo, si fecero un bel caffè con panna montata, di quello che ti si posiziona precisamente sopra allo stomaco e che non va più né giù né su neanche a pagarlo, e infine Carla andò a prendere la giacca di Amalia. La aiutò a indossarla, la accompagnò alla porta, e solo quando l’amica fu sul primo gradino delle scale si girò e le disse: - Ci sono due cose che non ti ho detto. –
- Cosa? –
- La prima è chi abita in quella bellissima villa che hanno costruito al posto della chiesa. Ma magari se ci pensi un po’ ci arrivi. –
Carla fu sul punto di dire un nome, uno dei pochi che conosceva lì intorno, l’unico di una persona che la avesse in qualche modo colpita, ma non era mai stata una di quelle persone che tirano a indovinare, anche nelle interrogazioni a scuola aveva sempre detto solo quello di cui era assolutamente sicura. E così scosse la testa per dire che non lo sapeva.
- Ci abita Alessandro, il tuo allievo. Suo nonno costruì la villa l’anno dopo l’esplosione, penso che dovette ungere un bel po’ di ruote per devastare così un bene culturale di tale importanza. Ora la villa appartiene a suo padre Filippo, che se non lo sai è il padrone della Falanx, una delle più potenti multinazionali al mondo, dal petrolio ai satelliti, dall’agricoltura alle armi, cerca in giro e li producono loro. A dire il vero quella stupenda villa è molto modesta rispetto alla loro ricchezza e al loro potere. –
- Cavolo. – disse Carla. E poi chiese: - E l’altra cosa che non mi hai detto?
Amalia sorrise, ma gli occhi non sorridevano, anzi erano molto tristi. – Oh, niente. È per prima, quando ti ho detto che era stato orribile e tu mi hai detto che potevi immaginare. –
- Orribile frase di circostanza, eh? –
- No. non è quello. È solo che penso che tu abbia capito male. Veder morire tutte le mie amiche, essere ustionata, essere sbalzata via e schiantarmi rompendomi tutte le ossa, senza dubbio è stato orribile.
Ma io non parlavo di quello. – disse. – Io mi riferivo a quando il lupo mi ha guardato e ha sorriso. Avrei preferito altre mille esplosioni a quel sorriso. E credimi, non puoi capire. – e cominciò a scendere le scale salutandola con un cenno della mano.

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