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domenica 25 novembre 2012

LA CASA SULLA COLLINA. XIII.

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Amalia

Diede una scorsa al modello e sorrise. Si ricordava bene, rovescio, rovescio, togliere un punto, dritto, dritto e ancora rovescio. Fece velocemente i punti, si aggiustò con cura il gomitolo accanto alle ginocchia e allontanò la maglia. Così più da lontano si vedeva già bene il disegno. – Sì. Sì, sì, sì, sì! – disse e fece per ricominciare a sferruzzare, quando vide che la giovane maestra era di nuovo lì davanti alla finestra.
La squadrò con spietatezza femminile e, tranne le gambe forse appena un po’ corte, la trovò bella. E quel caschetto un po’ disordinato che continuava a arruffare con le dita era davvero adatto alla sua faccia simpatica. Appoggiò i ferri sul tavolo, spostò il gomitolo accanto a loro stando attenta che non rotolasse a terra, e si alzò per andare a vedere cosa stesse guardando la ragazza.
- Salve. – le disse mettendosi in piedi accanto a lei.
- Salve! – le rispose la ragazza sorridendo. – Io sono Carla Damiani. – e le piazzò davanti una manina dalle dita lunghe e sottili.
- Amalia Fascia. – disse lei stringendogliela. – È la nuova maestra della terza C.? –
- Sì. – guardò fuori i bambini che correvano e si passavano una palla, forse il mitico supertele della sua infanzia al mare. – Quelli sono i miei ragazzi. –
- Li conosco. Quasi tutti loro due anni fa venivano periodicamente a piangere al mio tavolo perché volevano tornare a casa. –
- Quasi tutti? –
Amalia ci pensò su, poi disse: - Tutti meno uno. –
- Alessandro? – chiese la maestrina.
- Sì. – la guardò un po’ stupita, e poi: - Sa già tutti i nomi? –
La ragazza fece una smorfia buffa mordendosi il labbro, poi indicò col dito un ragazzino dopo l’altro. - Alessandro, Miguel, Tatiana, Samantha, Christian e Mario. –
- E gli altri? –
- X, Y e Z. più altre lettere varie. –
- Ma Alessandro lo sapeva, e? –
- Lo si nota subito, no? –
- Sì. – disse Amalia. Poi guardò cosa stavano facendo i bimbi e disse: - Guardi un po’ cosa stanno facendo. –
Due ragazzini stavano litigando, poi quello un po’ più alto diede uno spintone all’altro, al che quello si rialzò e gli si gettò contro. Carla stava già per correre giù a fermarli, senza ricordarsi assolutamente i loro nomi tra l’altro, ma Amalia la fermò. – Aspetti un attimo. – e così Carla poté vedere una scena davvero inaspettata. Alessandro si alzò dall’angolo in cui era seduto e si andò a mettere in mezzo ai due litiganti. Carla si ricordò uno dei detti famosi di suo padre “Chi sparte ha la meglia parte” e si aspettò di vedere anche lui finire a terra, ma gli altri due si fermarono subito.
- Ma che il diavolo … - disse Carla mentre i suoi occhi si spalancavano fino a farla sembrare la protagonista di un manga, mentre Alessandro si metteva a parlare a quei due che non solo non gli rispondevano male, ma stavano a testa bassa e annuivano. Poi lui prese le loro mani e gliele fece stringere. Poi si allontanò con le mani in tasca guardando verso la finestra. Quando i suoi occhi incrociarono quelli di Carla le sorrise e fece un minuscolo cenno col capo.
- Cazzo! Mai visto una cosa simile. –
Amalia sorrise e disse: - Impressionante, eh? È così fin dall’asilo, se c’è lui non ci sono mai liti. Arriva e li ferma. E se hanno problemi di qualunque genere, vanno da lui che li ascolta e li consiglia. –
- Mio Dio. –
- Eh sì. Però è buono. Il bambino più buono del mondo. –
Carla la guardò tentando di capire quanto quella bidella fosse affidabile, poi disse: - Piace molto anche alla Gomez. –
Amalia la guardò e sorrise ammiccando. – Sì. È l’unico bambino di cui le interessi, gli altri li potrebbe anche cucinare al forno. –
- Ah! Ah! –
- Le ha già parlato? –
- Sì. Penso che avrebbe preferito parlare con una cacca di mucca, se mi permette il termine. –
- Certo lei non è la Traverso. – disse la bidella.
- Anche lei pensa che si trattasse di una donna davvero straordinaria? –
Amalia la guardò, poi controllò che fossero sole e disse: - Le dà fastidio sentire parlare male di una morta? –
- Vada pure. Io amo parlare male dei morti, tendono a non offendersi. –
Amalia sorrise con almeno trecentoventi denti e disse: - Penso che fosse una cagna. Una schifosa cagna bastarda. Dicono che la sua auto si sia ribaltata perché un cane le ha attraversato la strada. Se incontro quel cane gli offro del filetto.
Avrebbe dovuto vedere quelle due, la Gomez e la Traverso, sempre attaccate a quel bambino, c’era da avere paura che se lo mangiassero, sembrava che fosse coperto di miele ai loro occhi. –
- Capisco. –
- O no. Mi creda, non può capire. Se lo mangiavano con gli occhi, avevo paura per lui. –
(15-10-2012)Carla pensò che il discorso stesse davvero degenerando e pensò bene di cambiare argomento. – Bello ‘sto posto però, dalla strada del bus là in fondo non lo si vede proprio. –
Amalia sorrise e disse: - Eh sì. Anche quando ci sono arrivata a sette anni, mi era sembrato un regno incantato, tipo quei film strambi che fanno adesso, che uno entra in un armadio e si trova in un mondo pieno di bestie strane. –
- Effettivamente l’effetto è un po’ quello. Quando ho aperto la finestra stamattina, dovevo innaffiare le piante a una vicina, ho pensato di vederci male. –
- Una bella collinetta piena di alberi. –
- E in cima la villa ultra lusso. –
- Quella quando sono arrivata io non c’era. –
Carla guardò un attimo l’orologio, mancavano ancora cinque minuti alla fine dell’intervallo. C’era tempo per ancora un po’ di chiacchiere con la persona più simpatica che avesse conosciuto da quando era arrivata a Genova. – E cosa c’era? –
Amalia la guardò con espressione sinceramente stupita, poi le chiese: - Non lo sa? –
- No. –
- Strano. Pensavo che si sapesse in tutta Italia. C’era una grande chiesa, la chiesa della Pigna. Stava lì da qualcosa come 1500 anni, la fondò Costantino, pare. –
- E perché dovrei saperlo? –
- Perché esplose per un attentato. Morirono una quarantina di persone. –
- Quando? Io non l’ho mai sentito. –
- Nel 1974. Io andavo in prima media allora. –
- E stava già qui? –
In quel momento suonò la campanella e i bambino cominciarono a sciamare verso la scuola. Carla doveva rientrare, ma aspettò la risposta di Amalia. Questa le sorrise, si sollevò la manica mostrando una cicatrice dalla pelle rosea e apparentemente molliccia che le occupava gran parte dell’avambraccio. – Io ero a due metri dalla porta quando quel tizio si fece esplodere. Fui l’unica a salvarmi della mia classe.
Carla si diresse verso la porta dell’aula mentre i bambini si affacciavano nel corridoio dalle scale, si voltò a guardare Amalia e sperò che la bidella capisse dal suo sguardo cosa le chiedeva. E Amalia le fece un cenno con la mano, come se stesse arrotolando un filo col dito. Ne parliamo dopo, voleva dire quel gesto, dopo ti racconterò tutto.

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