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sabato 24 novembre 2012

LA CASA SULLA COLLINA. XII.

1

Carla

Uscì di casa alle nove meno dieci, meno nove a voler essere brutalmente sinceri, e l’appuntamento con la preside Gomez, ma che cacchio di nome ha?, era per le nove e un quarto.
Ventiquattro minuti, non pochi di sicuro, se non fosse stato che Carla non aveva la minima idea della strada che da quella casa l’avrebbe portata alla scuola. E se fosse stata in salita? Era ottobre, ma col sole faceva ancora abbastanza caldo, e arrivare al lavoro con i goccioloni sulla fronte e le ascelle pezzate odorando come una stalla non le sembrava una grandissima idea.
E in più, porcaloca!, bagnando le piante della vicina, si era fatta cadere dell’acqua fangosa sulla gonna e le era rimasto un alone di umido che sicuramente, da asciutto, avrebbe assunto una gradevolissima colorazione grigiastra. Si affrettò per la strada che le avevano detto al telefono due giorni prima, via della Pigna, guardando intorno a sé per scorgere i numeri degli edifici e se, da qualche parte, spuntasse per caso un qualcosa di anche lontanamente simile a una scuola.
Continuò a salire per quella strada tortuosa che aveva visto poco prima dalla finestra, sentendo il rumore del traffico cittadino affievolirsi sempre più mentre al naso le arrivava un inconfondibile odore di bosco. C’erano alberi lì, alberi e prati, e tanta terra lasciata al naturale. Boh! In mezzo alla città!
Svoltò all’ennesima curva, e pensando di avere ormai sorpassato la scuola, era stata sul punto di tornar più volte volta, ma proprio allora vide davanti a sé un grande palazzo massiccio e severo, probabilmente una villa ottocentesca, che incombeva su di lei da dietro a un muro di cinta con tanto di cocci di bottiglia, muro che nascondeva molto male degli alberi dalle foglie ormai tendenti al giallo.
Si avvicinò al cancello e vide l’insegna che diceva “Scuola elementare Giuseppe Garibaldi”. Suonò il campanello e una bidella dalla bruttezza quasi mitologica la venne a prendere facendola entrare in un giardino che, doveva essere davvero di cattivo umore per vedere tutto così nero, sembrava in tutto e per tutto il bosco dei film horror, quello vicino al cimitero, sapete, proprio quello in cui di notte c’è sempre una nebbia fitta e bianca, alta sì e no quindici centimetri.
In mezzo agli alberi c’era una statua dedicata a Peppino Garibaldi, lo aveva sempre chiamato così suo padre, come se fossero stati compagni di scuola, e l’unica dicitura sotto al nome era: “Eroe dei Due Mondi”, con maiuscole la D di due e la M di mondi. Boh!
Seguì la bidella, bassa, grassa, con una faccia da tartaruga stitica e le braccia lunghe quasi come le gambe, o erano le gambe che erano corte quasi quanto le braccia?, ed entrò nell’edificio che almeno era molto ben illuminato. Un po’ caldo, ci saranno stati cinque gradi più che all’esterno, e non è che fuori si tremasse. salirono al primo piano e la bidella le indicò la porta della preside.
Specchiandosi nella porta, appena appena lucida, potrete capire, si riaggiustò come meglio poteva il caschetto. Sorrise e tacchete!, di nuovo la testa si inclinò, borbottò a mezza voce una bestemmia, poi bussò.
- Avanti! – disse una voce severa, una voce con i capelli raccolti a crocchio e gli occhiali dalle lenti a mezzaluna, una voce alta e magra e con gonna sotto al ginocchio e tailleur grigi o marroni. Aprì ed entrò e, per un breve istante, temette di scoppiare a ridere in faccia alla preside Gomez.
Era alta, magra, con gonna sotto al ginocchio grigia, tailleur grigio, capelli castani percorsi da fili grigi raccolti a crocchio e occhiali a lunetta. Solo che aveva anche una notevole faccia da stronza, una vera e propria signora Rottermaier senza possibilità di riscatto, una rompicoglioni cosmica insomma.
- Salve, preside Gomez. Sono Carla Damiani, e si accorse che la sua testa si era mossa nel suo solito infido inchino laterale mentre lei si sforzava di allargare la bocca in un sorriso gioviale ma serio. “Cazzo!” pensò continuando a sorridere e porgendo la mano alla donna in grigio.
La Gomez le guardò la mano come se fosse stata uno strano animale di quelli un po’ disgustosi, serpenti, vermi, tarantole, sapete, e gliela strinse con evidente e per nulla malcelato fastidio. – Lei è la supplente. – disse e la parola supplente in bocca a lei sembrò una medicina disgustose e, probabilmente, inutile.
- Sì. Sono qui per sostituire la signorina Traverso. – disse sedendosi sulla sedia che la Gomez le aveva indicato con un furtivo gesto della mano.
- Dottoressa Traverso. – disse la Gomez con la sua voce fredda e sibilante. – La dottoressa Traverso era laureata in Scienze dell’Educazione. Era molto titolata per il suo lavoro, e la sua morte è stata una vera tragedia. –
Se prima aveva avuto caldo, la freddezza di quelle parole le aveva fatto venire i brividi. – Anche io sono laureata in Scienze dell’Educazione. 110 e lode. –
La Gomez la ignorò facendo molta attenzione a farglielo notare, se mi capite, e disse: - La dottoressa Traverso era molto amata dai suoi alunni e stava ottenendo da loro ottimi risultati. Era un’insegnante davvero straordinaria. Sotto molti aspetti. – disse la Gomez volendo evidentemente farle intendere che lei invece era tutto il contrario, ma di più. Quello che ottenne fu invece di fare apparire chiarissima alla mente di Carla una immagine in 3D e Dolby surround della Gomez e della Traverso, che lei visualizzò come una quarantenne un po’ molliccia con la faccia da cagna, che avevano un animalesco e sudaticcio rapporto lesbico sulla scrivania che si trovava davanti. Sorrise sperando di non essere presa da uno dei suoi irrefrenabili attacchi di ridarella e annuì dicendo: - Spero di continuare a ottenere ottimi risultati dai miei alunni. Non dovrebbe essere impossibile riuscirci dopo l’ottimo lavoro svolto dalla mia collega. –
- Speriamo che succeda, signorina Damiani, speriamolo davvero per quei poveri bambini. – e tutte e due notarono che per lei il titolo di dottoressa, malgrado la laurea che se ne stava appesa in una bella cornice a casa dei suoi a Fabriano, non era per ora adoperabile.
Allora la Gomez si alzò e le disse, come lo si sarebbe potuto dire a un cane disubbidiente: - Mi segua, andiamo dai suoi ragazzi. – e Carla la seguì potendo apprezzare la secchezza dei polpacci della Gomez. Come sempre quando odiava qualcuno che le era superiore, se la immaginò nuda, e quell’immagine di vecchia lucertola avvizzita la fece sorridere. Salirono al terzo piano e camminarono per un largo corridoio pieno di piante. Sembrava il salotto della vicina, più simile a una foresta del triassico che a un ambiente pubblico. La Gomez si fermò davanti a una porta, 3a C vi stava scritto sopra, e si voltò a guardarla con severità. Avrebbe evidentemente preferito affidare quei poveri bambini affranti a Erode, piuttosto che a lei, ma tant’è. Carla le sorrise con un’espressione placidamente bovina e si aspettò che quella faccia secca e incartapecorita le avrebbe risposto con un sibilare da serpe, ma la Gomez si girò di nuovo e aprì la porta.
- Ragazzi. – disse entrando e tutti i bambini si alzarono scattando su un attenti proporzionato alla loro età di novenni. – Questa signorina è la vostra nuova maestra, la signorina Carla Damiani. Voi dovrete chiamarla “signora maestra” o “signora Damiani”. Avete capito? –
Carla si sentì come una vacca esposta in una di quelle fiere dove i compratori in cappello da cow boy valutano le vacche con una palpatina alle poppe e una alle cosce, era quasi sicura che uno dei bambini avrebbe alzato una mano facendo una offerta in euro, offerta che sarebbe stata naturalmente molto più bassa di quelle che sarebbero state fatte per la compianta e ottima dottoressa Traverso. Invece i bambini risposero in coro – Buongiorno signora maestra! – e, malgrado tra di loro vi fossero alcuni dei bambini più brutti che avesse avuto l’occasione di vedere in vita sua, le parvero simpatici. Notò soprattutto uno di loro, nel primo banco vicino alla finestra. Era alto e aveva le spalle larghe, sembrava più grande della sua età, ma aveva enormi occhi verdi e la pelle ambrata da mediorientale. Se non si era sbagliata, ed era sicura di non averlo fatto, tutti si erano alzati dopo di lui e anche il saluto era partito da lui.
Guardò la Gomez sorridendo e la vide guardare il ragazzetto bello e alto, sembrava che se lo mangiasse con gli occhi. Le bastò quella breve occhiata per capire che gli ottimi risultati della straordinaria insegnante che l’aveva preceduta lì prima di ribaltarsi con la sua auto, venivano soprattutto da lui. O che almeno solo i suoi risultati erano importanti per quella vecchia cariatide rinsecchita.

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