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sabato 11 agosto 2012

Capitolo 29 Stan e Rachel.

XXIX

Seduto sul cofano della sua auto Stan Hanlon guardava rare stelle cadenti muoversi istantanee nel cielo buio di quel grande nulla americano che si allarga tra Chicago e Los Angeles. Milioni di indiani con le loro migliaia di culture erano stati sterminati in un secolo per lasciare quell’immenso territorio a lunghe strade deserte.
Stan si era appena alzato dal letto del motel in cui si era fermato a dormire con Rachel. Era la seconda notte che passavano insieme e gli sembrava che facessero l’amore da una vita. La conosceva perfettamente, come lei conosceva lui. Se il proverbio sulle due metà di una mela aveva mai avuto una ragione di esistere, loro due erano quella ragione.
Stando nel letto accanto a Rachel, sentendo il suo profumo nell’aria surriscaldata di quel deserto a qualche centinaio di chilometri da Albuquerque, se non il centro del nulla, nelle vicinanze, si era spaventato di come il loro incontro fosse sembrato preordinato. Aveva pensato, rendendosi conto che quel pensiero se espresso a parole sarebbe sembrato ambiguo e volgare, che si erano trovati come una chiave e una serratura. Che poi era anche vero, mai gli era piaciuto tanto con nessun’altra donna ed era del parere che anche per lei fosse lo stesso, ma gli dava una certa inquietudine quella sensazione di essersi incontrati perché così era previsto. Come il re e la torre negli scacchi erano stati disegnati per muoversi insieme, ma per quanto questo fosse bello e gratificante, somigliava sempre un po’ troppo a un matrimonio combinato del Bangladesh.
Si era alzato ed era uscito in quel cortile quadrato contornato dalla bassa costruzione a un piano che tutti noi abbiamo imparato a conoscere dalla prima volta che abbiamo visto Psycho, aveva visto che le luci delle altre tre stanze occupate erano spente e si era seduto sulla sua auto a noleggio per guardare le stelle. Secondo il diario di suo padre It veniva da lì, ma Stan pensava che potesse venire da lì come da un buco nel muro, l’unica cosa certa era che It se ne stava rintanato sotto a Derry e che lì spadroneggiava come un bullo nella sua classe.
- Ciao Stan. – disse Rachel uscendo, si era infilata la maglietta di lui sopra ai soli slip e nella luce lampeggiante dell’insegna del motel sulla strada potava vedere i suoi capezzoli fare cucù attraverso la stoffa grigia. Sentì il suo cuore accelerare, la conosceva da sì e no una settimana e sapeva di amarla.
- Ciao Rachel. C’è un bel fresco qui. –
Lei gli si avvicinò e salì sul cofano con lui. L’auto cigolò un po’ sulle sospensioni, ma era una macchina robusta e avrebbe resistito senza problemi. Tirò su le gambe e si abbracciò le ginocchia come una ragazzina. Il suo cuore accelerò ancora, era proprio cotto.
- Che stellata! – disse lei – In città non ce n’è così tante. –
- Sono le luci. – disse lui smettendo di guardare il cielo e dedicandosi al suo profilo. Naso appena aquilino e bocca stile broncio di Brigitte Bardot. – L’inquinamento luminoso, se va bene si riescono a vedere un centinaio di stelle. Qua dovrebbero essere circa seimila. –
- In effetti qui non c’è quasi nessuno. Solo noi e il cielo. –
- Eccola! – disse lui alzando il braccio e indicando il punto in cui era passata la stella cadente. – L’hai vista? –
- No. Peccato! –
- Che desiderio avresti espresso? – le chiese pentendosi quasi subito di averlo fatto. Lo stesso suo, probabilmente.
- Lo sai. –
- Sì. – rimasero in silenzio per un paio di minuti, poi lui disse: - Forse non ci saremmo neanche conosciuti se non fosse per It. –
- Dici? –
- Forse non ci saremmo piaciuti. –
- Cosa vuoi dire? –
Ma perché aveva tirato fuori ‘sto discorso, cazzo. E ora che le avrebbe detto? – Volevo dire che … Non ti pare che fosse tutto già deciso, le nostre vite, il nostro incontro? Il fatto che ci siamo piaciuti subito? –
- Vorresti dire che siamo manovrati come marionette? –
- Sì. – altro silenzio, poi – No. Come pedine su una scacchiera. It fa la sua mossa e … -
- E la Tartaruga fa l’altra? –
- Mio padre ha scritto che la tartaruga è morta. – disse Stan guardando di nuovo il cielo. Si vedeva perfettamente la Via Lattea.
- È viva. – disse lei.
- E come lo sai? –
- È viva. Lo so e basta. –
Erano lì in quel motel per una precisa scelta. Quando avevano deciso di andare a L. A. per il funerale della Phillips avevano deciso di andare in aereo fino ad Albuquerque e poi di lì andare in auto. A Derry erano pedine, come aveva detto lui, a Los Angeles sarebbero stati quelli giovani ed inesperti, i due corpi estranei. Volevano un paio di giorni per essere solo loro due, due giovani innamorati, senza pensare a quello che li aspettava nelle fogne di Derry.
- Lo hai mai visto un film di Peckinpah – chiese lui all’improvviso – Il mucchio selvaggio? –
- L’ho sentito nominare. – rispose lei senza guardarlo, aveva visto che cinque stelle in cielo sembravano formare una doppia v. – Non l’ho mai visto. –
- Peccato. Sai, è un bel film. È una storia di delinquenti che vanno in Messico. – e indicò con un cenno a sud, oltre il corpo del motel. – Aiutano un generale, ma lui è cattivo. E allora uno di loro lo tradisce, ma il generale lo fa prendere e lo tortura. Lo fa accoppare davanti a tutti. –
- Ah. –
- E questo generale è pieno di armi e di soldati. Come direbbero in un film di Tarantino è un vero porco bastardo, uno spacca culi. E loro sono in quattro o cinque. Quattro direi. E lo attaccano per vendicare l’amico. –
- C’è quasi sempre la vendetta nei western, no? –
- In quelli italiani, soprattutto. – disse lui – Ma qui è diverso, perché loro non hanno alcuna speranza. Possono solo morire, capisci? –
- E vanno lo stesso? –
- Quel bastardo taglieggia tutta una città, la sfrutta. E ha ucciso il loro amico, facendolo soffrire. –
- E loro vanno lo stesso? – ripeté lei.
- Sì. – rispose lui. – Perché va fatto. –
Rachel rimase in silenzio, si strinse ancora di più alle sue ginocchia, l’aria del deserto di notte era molto fresca. – E quindi niente lieto fine? –
Stan inspirò rumorosamente, guardò il cielo e vide due stelle cadenti insieme, si incrociarono quasi a formare una x, o un v di vittoria. – Il bastardo muore. –
- E anche loro. – disse lei.
- E anche loro. Sì. – rimase molto in silenzio questa volta, poi le fece passare un braccio intorno alle spalle e la strinse a sé. – Ma il bastardo muore. A volte certe cose vanno fatte. –
Rachel non rispose, si strinse a lui e gli appoggiò la testa al petto. Rimasero così per un po’, zitti sotto a un cielo trapuntato di stelle, mentre un coyote ululava in lontananza. – Andiamo dentro! – disse poi lei, poi lo guardò e sorridendo disse: - Tra sei ore dobbiamo alzarci e vorrei dormire almeno cinque ore. –
Notando con una certa allegria la discrepanza Stan saltò giù dall’auto e rientrarono nella loro stanza. Per quella notte erano solo due giovani innamorati. Il futuro e quello che andava fatto non erano ancora lì.

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