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domenica 19 agosto 2012

Capitolo 37, Harlan Bowers.

XXXVII

Harlan Bowers era sempre stato un bambino abbastanza chiuso, e anche come ragazzino non è che fosse proprio pieno di amici. Anche a donne non è che abbondasse, un paio di ragazze molto bevute intorno ai diciotto anni, di quelle così andate che non si accorgono neanche che glielo hai messo dentro, una decina di puttane beccate sulla strada da quando era un uomo, molte pornostar sullo schermo del computer la sera.
L’unica volta che si era innamorato, nel modo malato che la sua mente particolare poteva permettere, era stato nell’85, quando aveva quindici anni. Quella stronza della professoressa di inglese gli aveva assegnato un compito su John Milton, un cazzo di inglese di secoli prima che si faceva le seghe scrivendo di Adamo ed Eva e di demoni vari, a suo modesto parere, ma suo padre gli avrebbe cambiato i connotati a cinghiate se avesse portato a casa un’altra insufficienza, e così Harlan Bowers aveva varcato l’entrata della biblioteca. Puzzava ancora di vernice fresca quel posto, l’alluvione l’aveva colpita non si sa come e la galleria di vetro tra la sezione adulti e quella infantile era saltata per aria; i lavori di ristrutturazione erano appena finiti. E Bowers, intimidito da quella enorme massa di libri aveva chiesto aiuto alla bibliotecaria.
Quanto era stata gentile, quanto era bella, quanto gli piaceva vedere quelle dita sottili sfogliare le pagine di quel libro, quanto gli era venuto duro quando vedendola accucciarsi per raccogliere la penna le aveva intravisto le mutandine bianche. E così Harlan Bowers si era innamorato della venticinquenne Carole Danner e, mentre lei gli spiegava che libri leggere e come scrivere la sua ricerca, aveva deciso che l’avrebbe sposata e che avrebbero avuto almeno otto figli. E poi … e poi era arrivato quel negro di Hanlon. Non erano neanche tre mesi che Henry aveva tentato di ucciderlo e lui era di nuovo in piedi, e sembrava ringiovanito di dieci anni, cazzo. E Carole si era alzata, aveva abbandonato Harlan ed era corsa da quel negro. Era corsa da quel negro e l’aveva baciato. Sulla bocca l’aveva baciato, le aveva intravisto la lingua rosa tra le labbra.
E così l’amore di Harlan, quel suo unico amore romantico durato un paio d’ore, si era trasformato immediatamente in disprezzo, in odio viscerale, era una troia del cazzo, che se la faceva coi negri.
E questa notte, finalmente, con l’aiuto del grande Henry, Harlan avrebbe potuto sfogare su quella troia, che a cinquantadue anni a suo modesto parere era ancora un notevole pezzo di figa, tutta la sua rabbia e il suo odio. Eccola, eccola che entrava in casa ignara della loro presenza …

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