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mercoledì 1 agosto 2012

Capitolo XIX, l'incidente del bagno.

XIX

Circa due ore dopo, mentre Wally si rigirava nel letto dopo avere visto CSI,e sognava di essere in auto giù al parcheggio con la moglie di Grissom, che per lui era la donna più bella del mondo, mentre Tony e Emily si sbaciucchiavano sui titoli di coda del film che avevano visto al drive in, un orrendo film d’azione in cui tutti volteggiavano da un muro all’altro senza alcuna ragione apparente, ma tanto non lo avevano seguito un gran ché, e mentre il corpo di Jimmy Rispoli volava sotto a Derry avviluppato in un bozzolo di ragnatela accanto a Bobby Gray e alla prostituta che la cosa che era stata per un poco Bob Gray aveva ucciso, proprio allora George McLennon, soprannominato dai suoi amici più colti Tre Beatles, e dai più cattivi Pannolino perché in prima elementare se l’era fatta addosso durante la lezione di inglese, si alzava senza accendere la luce per andare in bagno.
Camminava in silenzio e stava molto attento a non far rumore aprendo e chiudendo le porte, perché mamma e papà erano molto apprensivi, soprattutto mamma, e se lo avessero sentito camminare si sarebbero alzati per sapere come stava, cosa aveva, se voleva la camomilla, se voleva un bicchiere d’acqua, se aveva male al pancino, ma vuoi dormire con noi, ma sei sicuro di stare bene, ma perché non me lo dici se stai male …
Aprì la porta del bagno, entrò, la richiuse molto lentamente, e finalmente accese la luce. Per un attimo non vide nulla, papà aveva messo una lampadina che ti abbronzava, poi si abbassò i pantaloni del pigiama, che non capiva perché non avevano cerniera e doveva abbassarli per fare pipì, e si avvicinò al Water. Blub fece l’acqua. Era salita una bolla. George detto Tre Beatles fece un passo indietro mentre la pelle gli si accapponava e le palline gli risalivano nella pancia tipo flipper. Se aveva paura del gabinetto era colpa di suo fratello Ringo, cavolo!
Richard McLennon, detto naturalmente Ringo, tre anni prima era passato con degli amici vicino a un barbone addormentato in una rientranza di un muro. Il barbone era sporco a una maniera fantascientifica, aveva pensato Ringo, e il suo odore si poteva definire in un solo modo: merdoso.
Era un uomo sulla sessantina, ma ne dimostrava una quindicina di più e da giovane era stato il cacciaballe della classe di Eddie Kaspbrak, noto ai più col soprannome di Panzana Taliendo; il cappotto che portava, la lunga barba, i capelli cisposi e le scarpe rotte sembravano un unico orrendo blocco di sudiciume che inspiegabilmente respirava. Ringo e i suoi amici avevano continuato a parlare per un bel tratto di strada del barbone merdoso, del barbone puzzolente, del barbone barbuto, fino a che erano giunti alla conclusione che avrebbero dovuto chiamarlo barbuto merdoso.
Quando poi Ringo era arrivato a casa e il cinquenne George gli aveva detto con una certa apprensione di aver sentito un rumore provenire dal gabinetto, Ringo non aveva resistito alla tentazione di dirgli che giù nelle fogne, dove andavano a cadere le cacche, stava attento a non dire merda col fratellino, perché quel rompipalle era peggio di un registratore e se lo avesse detto davanti a mamma e papà … Insomma, gli aveva detto che giù nelle fogne viveva il Barbuto di Cacca, aggiungendo poi, trattenendo a fatica le risate, “che sotto ai denti adesso ti schiaccia” e George era rimasto a tal punto terrorizzato da questa notizia da aver avuto bisogno dell’accompagnamento di qualcuno, leggi mamma, in bagno per un paio di mesi.
Ora aveva otto anni George, era grande, non aveva più paura del Barbuto di Cacca, cavolo, no. Però l’acqua azzurrina aveva fatto Blub. Si riavvicinò al gabinetto e guardò dentro, e Blub. Blub blub blub. Saltò indietro battendo nel lavabo con la schiena. Aveva una gran voglia di tornarsene a letto, ma doveva anche fare pipì, cavolo. Fece di nuovo un passo avanti e l’acqua fece blub! Tremolava, il liquido azzurrino, e c’era puzza nell’aria. Puzza di cacca, che schifo. Non credeva più al Barbuto di Cacca, era grande, ma ricordò come se lo immaginava di notte quando mamma gli spegneva la luce. Era un po’ come Babbo Natale, solo più alto e magro, emaciato lo avrebbe definito se avesse conosciuto il significato della parola. Era tutto marrone, con enormi denti gialli, e girava nelle fogne sotto alla città aspettando che un bambino, gli piacevano i bambini, molto, aspettando che un bambino fosse solo in bagno. Allora risaliva dai tubi, era moooolto magro, e afferrava il piccoletto con una sua grande mano marrone, se lo portava alla bocca e l’ultima cosa che il bambino avrebbe sentito prima di morire sarebbe stata una puzza orrenda.
Blub! fece di nuovo l’acqua nel water, ma stavolta non uscì solo puzza. Mosche. Mosconi di quelli neri che al sole luccicano di verde, quelli che stanno sempre sulle cacche di cane. Un'altra bolla seguì la prima, e altre mosche, almeno una decina ne uscirono e cominciarono a svolazzare ronzando per il bagno.
- Oh mamma! – disse George indietreggiando fino alla porta mentre altre mosche uscivano dal gabinetto. Erano centinaia ormai, e la puzza era insopportabile. Fissava l’apertura ovale del gabinetto sapendo che cosa ne sarebbe uscito, una lunga mano marrone, ricoperta di mosconi, e poi l’avrebbe seguita un braccio lungo e secco gocciolante liquame, e pensò di uscire e correre via, ma sapeva che appena si fosse voltato per aprire la porta, la mano sarebbe guizzata velocissima e lo avrebbe afferrato. Allora rimase lì, e in mezzo ai mosconi neri, che però alla luce della lampada nuova avevano riflessi argentei e arancioni, vide uscire davvero la mano che si era immaginato tre anni prima.
- Mamma. – disse, ma la voce gli uscì così strozzata che nessuno avrebbe potuto sentirlo, e poi uscì un braccio e poi il Barbuto di Cacca era lì, davanti a lui, così alto che doveva stare curvo per non toccare il soffitto, le mosche lo ricoprivano, brulicavano su di lui, e lo guardava con i suoi occhi marroni mostrando le sue zanne gialle e simili a spuntoni affilati.
- Mamma. – disse piangendo e rannicchiandosi a terra sotto al lavabo, mentre la mano lunga e famelica del mostro si allungava verso di lui.
Quando la mano lo toccò George detto Tre Beatles pensò due cose. La prima fu: “Sto sognando, non esiste il Barbuto di Cacca” e l’altra fu “È vestito diverso da come lo avevo immaginato, più che Babbo Natale sembra un clown”, poi la mano lo afferrò e lo trascinò verso il gabinetto. Quando toccò la ceramica bianca il mostro lo morse e così George era già morto quando il suo corpo ridusse in mille pezzi il gabinetto. Il rumore svegliò i genitori, e Ringo, e il papà dovette sfondare la porta mentre mamma piangeva e si strappava i capelli. Quando la porta si aprì trovarono il corpo di George con ancora i pantaloni del pigiama calati e la faccia piena di ferite in mezzo ai frammenti affilati del water e a un mare di merda.
Mentre tentava di capire quello che vedeva Richard detto Ringo pensò per un attimo a quello che aveva raccontato al fratellino tre anni prima, riconobbe tutti i particolari e pensò che forse … poi cominciò la baraonda e corse a piangere nella sua stanza. I mostri non esistevano, un mondo dove il gabinetto esplode e ti uccide il fratellino, è già abbastanza mostruoso.

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