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martedì 14 agosto 2012

Capitolo 32, i Perdenti.

XXXII

Se c’era una cosa che Beverly Marsh non aveva mai sopportato era il jet lag. Ed essere sposata con uno dei più famosi architetti del mondo, seguendolo qua e là dove lo portava il suo lavoro, l’aveva messa lungamente alla prova.
Arrivata a Los Angeles era andata subito al funerale di Audra, giusto il tempo di darsi una lavata e di cambiarsi in albergo, e poi li aveva rivisti.
William Dembrough, Big Bill per tutti loro, ora un vecchio in abito scuro, le spalle un po’ curve, seduto in lacrime accanto alla bara della moglie. Sulla bara c’era un portaritratti con una foto di Audra da giovane. Le faceva uno strano effetto vederla, sembrava una sua sorella, stessi capelli, stesso naso, stesso ovale, occhi praticamente identici. Solo la bocca era diversa, quella di Audra era più piccola e carnosa. Faceva male al cuore pensare che qualcosa di così bello potesse essere morto, pensare che dovesse finire sotto terra.
E vicino a Bill c’era Richie. Il famoso Richard Tozier. Non aveva le scarpe da ginnastica adesso, ma belle scarpe italiane di cuoio nero. Era un vecchio anche lui, capelli bianchi e occhiali. Aveva pianto, si vedeva, e la sua faccia era triste. Solo salutandoli aveva sorriso, e in quel sorriso aveva rivisto il suo vecchio amico con gli occhiali riparati con il nastro adesivo.
E poi aveva visto gli altri due. Erano giovani, senza dubbio, due ventiseienni al massimo del fulgore. Stanley Hanlon sembrava un giovane marine, era un reduce in effetti, e sembrava una versione più chiara e più bella di Mike. Avrebbe potuto sfondare nel mondo del cinema, con quella faccia, ma molto più probabilmente sarebbe stato It a sfondare lui di lì a qualche giorno. E poi Rachel, la figlia di Stan. Vedendola scoppiò quasi a ridere. Aveva visto Stan l’ultima volta prima della pubertà, e i suoi lineamenti erano allora ancora molto delicati e femminei. Rachel sembrava lo Stan di allora, solo con capelli lunghi e un corpo da urlo. L’avrebbe potuta riconoscere per strada incontrandola per caso, se solo si fosse ricordata dell’esistenza di Stan Uris una settimana prima.
Il prete aveva detto le sue parole di speranza, aveva parlato di un mondo migliore, di una donna che ora stava con Dio. Bla-bla-bla. Parole. Non c’era Dio, per quanto ne sapeva lei. Non c’erano posti migliori dove stare coi propri cari. O c’era questo mondo miserabile, o la tana di un mostro. Altro no.
Fu una bella cerimonia. Si salutarono e si diedero appuntamento per quella sera, a casa di Richie.
Beverly e Ben arrivarono presto, intontiti dal sonno perché secondo l’ora di Roma erano circa le otto del mattino. Richie li accolse sulla porta della sua grande casa e presentò loro la sua fidanzata, uno schianto di modella russa o qualcosa di simile che avrebbe potuto essere sua figlia. Si vedeva che lei non aveva alcuna voglia di incontrare i vecchi amici del compagno, e non faceva proprio nulla per nasconderlo.
Dopo pochi minuti arrivò Bill, non piangeva adesso e sembrava molto meno vecchio. – Ciao Bill. – gli disse abbracciandolo e rimasero stretti l’una all’altro per molto tempo. Per quanto amasse Ben, Bill era stato il suo primo amore. – Bill … - gli disse di nuovo senza finire la frase.
Anche Ben abbracciò Bill, c’era affetto sincero nei loro sguardi, come tra fratelli, poi Richie ne disse una delle sue: - Ragazzi, mi sa che ci servono i bozzoli di Cocoon! – e tutti risero della sua battuta fino a piangerne, perché era quello che, in quel modo o in modi diversi, avevano pensato anche loro.
E poi arrivarono Stan e Rachel, si tenevano per mano. Se l’amore fosse stato radioattivo, pensò Bev, ci sarebbe stato da fare un cordone sanitario intorno a loro a una distanza di dieci chilometri. Non si staccavano mai, appena potevano si baciavano, e se non potevano si guardavano negli occhi. Li invidiò, cavolo, invidiò la loro giovinezza e la loro voglia di vivere.
Fu solo quando Kasia se ne andò al piano di sopra però che la serata prese il volo. C’era elettricità tra loro, da folgorare chiunque li avesse sfiorati, parlavano di quello che avevano vissuto, raccontavano gli uni agli altri aneddoti e storielle buffe, giravano intorno all’Argomento It, non era ancora il momento. Erano seduti intorno a un tavolo circolare, come i cavalieri di Re Artù, come sette bambini con i piedi a bagno nel fiume mentre il sole tramontava, e all’improvviso, ma a essere sinceri non del tutto inaspettatamente, Rachel girò di scatto verso l’alto le palme delle mani. – Ahi! – urlò e tutti videro che in quella pelle rosea e liscia c’erano due tagli abbastanza profondi. Il sangue le gocciolava verso i polsi cadendo poi in gocce rotonde e scure sul tavolo.
- Ma che cazzo! … - urlò Stan alzandosi e prendendole le braccia, quando – Ahia! – urlò a sua volta e fece lo stesso gesto che lei aveva fatto un istante prima. Aveva due tagli identici, il sangue scorreva sul palmo delle sue mani gocciolando vicino a quello di lei.
Nello stesso momento Beverly vide Ben e Richie guardarsi le mani trovandole ugualmente sanguinanti, allora anche lei guardò le sue e vi ritrovò dei tagli aperti al posto delle sue vecchie cicatrici. Si voltò verso Bill e lo vide sorridere. Anche sotto le sue mani c’erano delle gocce rosse, era successo. La Tartaruga aveva dato loro le sue stigmate, avrebbe detto poi Ben quando tutto era già successo, ma in quel momento nessuno parlò. Bill allargò le mani e prese nelle sue quelle di Richie e di Ben che erano seduti accanto a lui. Ben prese la mano di Beverly e lei quella di Rachel. Rachel prese la mano a Stan e lui a Richie. L’aria parve scaldarsi tra loro, forse ci fu del vento nella stanza e la tenda dietro a loro si mosse.
Cominciarono a ridere. C’era ancora magia in loro, It non aveva ancora vinto.

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