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giovedì 23 agosto 2012

Capitolo 41, It.

XLI

It se ne stava rintanato in fondo alla sua tana, là dove ventisette anni prima Dembrough e Tozier lo avevano ucciso, piccole scimmie sfrontate, e rimirava la sua tana pregustando il sapore sopraffino della vendetta. I Perdenti stavano tornando da lui, li aveva richiamati appena tornato in vita per farli a pezzi, divorarli, sentirli urlare.
Per prima cosa avrebbe preso il loro capo, quel balbuziente maledetto di Bill Dembrough, che avrebbe sicuramente tentato di riprovare il rito del Chud. Stupido. Era un vecchio, ormai, la sua fantasia si era sclerotizzata ormai da anni e anche scrivendo si limitava a rimasticare e variare minimamente le stesse vecchie idee.
Da quanto Bill Dembrough non nascondeva i piedi sotto le coperte per la paura che una gelida mano di morto gli potesse afferrare la caviglia? L’unica arma che Dembrough aveva avuto contro di lui, un’arma potentissima, era stata la fede nella sua fantasia, ma ora quella fede era morta. Restava solo la paura, e la paura non ti rende forte, ma solo inerme o avventato. In un caso come nell’altro, indifeso davanti a It.
E Tozier? Anche lui, un vecchio, un vecchio che da divertente era diventato, senza neanche accorgersene, ridicolo. Lo aveva sorpreso, l’ultima volta, quando lo aveva aggredito mentre si stava liberando di Dembrough, ma anche lui aveva perso totalmente la fiducia nei suoi mezzi. Sapeva ancora dire una battuta o due, questo sì, ma l’imitazione del signor Nell per lui era diventata, come per chiunque altro, solo una patetica imitazione. Che provasse pure a rifarla, che ci provasse. Divorarlo mentre urlava di terrore sarebbe stato ancora più divertente.
E Hanscom? L’unica cosa che era rimasta in lui del ragazzino che lo aveva quasi ucciso era la voglia di mangiare quando era agitato. Quanto si controllava, poveretto, che vita di rinunce. Magari non lo avrebbe neanche ucciso. Sì, forse se lo sarebbe tenuto lì come faceva con Kaspbrak, facendolo ingozzare all’infinito, fino a fargli riempire la sua tana con la ciccia, solo per gongolare della sua vergogna. Anche nel vecchio Ben di magia non ce ne era rimasta abbastanza neanche per accendere un fiammifero, altro che uccidere It.
Chi rimaneva? La Marsh? Che pena, mio Dio, che pena! Se non fosse stato per la sua rinascita, sarebbe stata ancora lì a scolarsi goccetti di Whiskey di nascosto dal marito, rimpiangendo le sue tette alte e sode e i suoi capelli rossi di rame. Le poteva leggere dentro, sì poteva farlo, quando si metteva davanti allo specchio e piangeva dello sfacelo che era il suo corpo, immaginando quasi con un perverso piacere come sarebbe stato a settanta anni e poi a ottanta e poi a novanta, se non fosse morta prima. Vanità, o vanità! Neanche lei avrebbe ucciso, l’avrebbe tenuta lì a invecchiare in eterno, nuda davanti agli occhi del marito, sempre più avvizzita e secca, sussurrandole all’orecchio i ricordi della sua gioventù per poi bere come un liquore prezioso le sue lacrime.
E Kaspbrak? Quante volte lo aveva già ucciso e risuscitato? Ogni volta si divertiva a scavargli dentro per scoprire ogni sua paura o pensiero più segreto e nascosto. Aveva desiderato sua madre? Aveva desiderato di ucciderla? Ecco che sia una cosa che l’altra si realizzavano, solo per farlo soffrire. E l’asma? Che aveva mai sentito di attacchi di asma così forti da far collassare le costole? Eddie li aveva avuti, e fino a che non si fosse arreso, fino a che la sua anima non si fosse spezzata, avrebbe scoperto nuovi orizzonti del dolore. Ah, che divertimento sarebbe stato uccidere il suo Big Bill davanti a lui, era quasi un Dio per lui quello scrittore balbuziente, era il padre che non aveva mai avuto. Lo avrebbe divorato di fronte a lui, fino a spezzargli le ossa per succhiarne il midollo, sarebbe arrivato quello stupendo momento e forse allora di Eddie Kaspbrak non sarebbe rimasto più nulla da torturare.
E poi c’erano quei due nuovi. Rachel Uris e Stanley Hanlon. Con lui si era già divertito, lo spettacolo messo su da Chambers e Bowers con il corpo di suo padre era stato davvero suggestivo. E ora anche sua madre era morta, magari gli avrebbe portato laggiù il corpo per farla ballare putrefatta davanti a lui. Mah! Ci avrebbe pensato, aveva tempo, ma anche quel ragazzo avrebbe pagato per il suo dolore e la sua paura di ventisette anni prima, sì.
E la Uris? Con lei sarebbe stato così facile, mio Dio! Così maledettamente facile! Aveva paura dei ragni, proprio dei ragni! Terrorizzarla sarebbe stato addirittura noioso, ma magari avrebbe potuto dare al tutto un po’ di pepe smembrandole il ragazzo davanti agli occhi.
E mentre It pensava questi pensieri, mentre gongolava tra sé e sé pregustando la sua vendetta, non si rendeva conto di essere anche inquieto.
Perché non tutto andava come aveva progettato e sperato. Il cerchio si era ricreato, le loro mani avevano sanguinato. Eddie Kaspbrak, che lui aveva riportato in vita per divertirsi, si era ribellato una volta e aveva salvato la piccola Alice. E Chambers, il suo cane da combattimento Luke Chambers, per quanto lo avesse soddisfatto con il corpo di Hanlon e sua moglie, non gli si era totalmente sottomesso come Henry tanti anni prima, ma aveva resistito ai suoi pensieri e aveva anche ucciso quella fedele palla al piede di Bowers. Per quanto fosse così tronfio e sicuro, It non poteva sapere quanto Chambers avrebbe obbedito ai suoi ordini.
E poi, proprio lì nella sua tana, stava succedendo qualcosa che solo Eddie, nel dormiveglia tra un momento di terrore e l’altro, aveva intuito. Qualcosa stava maturando nella tana, chiuso in un bozzolo e al riparo dagli occhi di It. Ed è proprio il nemico che non conosci, quello più pericoloso.

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