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mercoledì 15 agosto 2012

Capitolo 33, It e altri.

XXXIII

Tracey McCallister era a casa da sola. I suoi genitori erano usciti per andare a mangiare fuori e l’avevano lasciata sola con suo figlio Johnny. Johnny aveva tre mesi, Tracey diciassette anni e mezzo. Il padre di Johnny era uno dei dodici compagni di classe di Tracey, o uno dei tredici amici che avevano invitato alla festa di un anno prima.
Aveva bevuto un po’ Tracey, della coca cola corretta con vari liquori, e forse non aveva voluto fare sesso proprio con tutti loro, non ricordava bene. Di certo non era contraria con i primi, ma non ricordava bene quali fossero stati.
Il quoziente di intelligenza di Tracey, misurato alle scuole medie dopo la sua seconda bocciatura, era di settantuno. Abbastanza per essere condannata a morte in Texas, ma assolutamente insufficiente a capire cosa volesse dire sesso sicuro. E, come avrebbero scoperto i suoi genitori tornando dalla cena da Arnaldo, l’unico ristorante italiano di Derry, famoso per i suoi maccheroni con sugo di polpettine, insufficiente anche per occuparsi di un neonato.
Il capo Gardener, perché se ne era occupato lui in persona, trattandosi di un caso molto delicato, aveva detto che avrebbe potuto anche arrestarli tutti quei porci schifosi, ma al processo sarebbe bastato che l’avvocato di uno a caso dei violentatori le ponesse un paio di domande perché nella mente dei giurati sorgesse anche più di un ragionevole dubbio, perché sperare che lei dicesse sul banco dei testimoni delle cose sensate era come sperare di ottenere una risposta parlando al muro.
E così i signori McCallister, la cui fervente fede cattolica impediva di pensare all’aborto, decisero di tenersi anche il piccolo figlio di Tracey e di crescerlo come un figlio loro.
Il piccolo aveva fatto qualcosa nel pannolino, Tracey non era una cima ma il naso lo aveva, e così decise di cambiarlo. Gli tolse il pannolino sporco, lo ripiegò con cura e lo buttò nella pattumiera, poi provò a pulirlo con delle salviette, ma Johnny quella sera aveva davvero esagerato. Pensò allora di fargli un bel bagnetto.
Ma il diavolo, come sapeva bene It, sta nei particolari. Ci voleva l’acqua calda per lavarlo, e il signor McCallister aveva appena fatto cambiare lo scaldabagno mettendone uno molto moderno. Tracey si era già fatta spiegare tre volte come accenderlo e come regolare la temperatura, e forse altre tre o quattro sarebbero bastate per farglielo imparare. Ma quella sera, quella sera che era lì da sola con Johnny, non riuscì mai a ottenere più di un filo d’acqua fredda.
Se non era molto intelligente, Tracey non si perdeva però d’animo. Poteva scaldare l’acqua sul fuoco. Prese la pentola più grossa di tutte, la riempì d’acqua, poi prese la vaschetta di Johnny e la riempì d’acqua. No. vuotò la vaschetta e vi versò l’acqua della pentola, ma, no. Era fredda. Vuotò la vaschetta, vi mise Johnny che la guardava incuriosito, pensò di versare l’acqua, perché le sembrava di poter capire che se la vaschetta fosse stata piena infilandoci il bambino l’acqua sarebbe traboccata. Ricordò di un tizio strano di cui le avevano parlato a scuola, un turco o un italiano o uno spagnolo, Archi qualcosa di qualcos’altro, si ricordava bene che sul libro di matematica c’era il disegno di questo tizio che saltava fuori dalla vasca tutto nudo urlando EIPEKA o EIAKEKA, non ricordava, ma sapeva che c’entrava l’acqua che usciva quando lui entrava.
Rimase ferma per un bel po’ tentando di capire in quale sequenza avrebbe dovuto riempire la pentola, mettere il bambino, scaldare l’acqua, riempire la vasca, lavare il bambino, ma continuava a perdere il filo del ragionamento.
Ma non era una donna di pensiero, era una donna d’azione, questa era una frase che usava sua madre, e quindi agì. Mise la pentola sul fuoco e cominciò a girare per la cucina aspettando che si scaldasse, quando da fuori della finestra le arrivò una musichetta.
- Il circo! – urlò correndo a vedere, e in cuor suo sperò che passasse una sfilata di clown e pupazzi, e avrebbe dato una mano per vedere il suo pupazzo preferito. Scrat.
Da quando non andava più a scuola, non c’era più andata dal giorno della festa e del fattaccio con i compagni e i loro amici, aveva guardato tanta tv e tanti filmati sul computer, e non si stancava mai, ma proprio mai, di vedere Scrat e le sue ghiande.
Ed ecco che da dietro all’albero sulla strada, proprio davanti a lei, spuntò un uomo travestito da Scrat. Solo che non sembrava un pupazzo di quelli con la cerniera sulla schiena, sembrava proprio Scrat, e aveva non una ghianda, ma un enorme pompon arancione che spostava furtivo qua e là. Rimase lì incantata a guardarlo saltare sull’albero, sulla staccionata, scavare in terra per piantarci il pompon-ghianda, saltarci sopra con i piedi per nasconderlo, stringerlo tra le braccia come un bimbo.
Ah, ecco, al pensiero del bimbo sentì Johnny piagnucolare, stava quasi per girarsi a controllarlo, ma Scrat stava correndo quasi fuori dal suo campo visivo, si sporse per guardarlo e lo vide correre indietro. Rideva come una disperata, era ancora meglio del film. Quanto passò guardando quel buffo scoiattolo alto un metro e novanta col suo pompon? Un minuto, un’ora, un giorno? Non è che Tracey avesse mai dato tanta importanza allo scorrere del tempo, sapeva solo che le ore di scuola erano troppe e che il tempo passato a guardare una lumaca che strisciava su una foglia era sempre troppo poco.
Comunque a un certo punto Scrat smise di giocare con la ghianda. Si girò verso di lei e la guardò inchinandosi. Aveva gli occhi d’argento, le fecero paura, tanto che si fece qualche goccia di pipì addosso. Scrat scappò nei cespugli oltre la strada, verso i Barrens, e lei ancora sconvolta dal terrore per quello sguardo ripensò a due cose. Non aveva più sentito Johnny e l’acqua doveva ormai bollire. Capendo confusamente di averla fatta grossa andò alla pentola, che per far scaldare prima l’acqua aveva coperto col suo coperchio di alluminio, e spense il fuoco. C’era un odore strano, come di pollo bollito.
- No! No! No! No! No! – cominciò a ripetere all’infinito mentre allungava la mano per sollevare il coperchio. Lo sollevò e vide Johnny. La pelle era grigia nell’acqua ancora fumante, e gli occhi bianchi e opachi. La pelle si era sollevata e sembrava sul punto di staccarsi. – No! – disse tentando di capire come potesse essere stata così scema da lasciarlo nella pentola, perché era davvero troppo anche per lei. – Johnny? – gli disse infilando una mano nell’acqua e ustionandosi gravemente. Lo toccò e sentì la pelle rugosa e molle.
Tirò fuori la mano, le faceva male, ma non urlava. Continuava a guardare suo figlio, le piaceva tanto stringerlo a sé mentre lo allattava, le piaceva quel suo sguardo pieno di amore, quelle piccole manine grassocce che si allungavano verso di lei per sfiorarle il naso. – Johnny? – ripeté, poi cominciando a piangere andò alla porta. La aprì e andò verso i cespugli. Indossava solo degli short e una canottiera, mamma non l’avrebbe mai fatta uscire così, ma era da sola in casa. Attraversò la strada, superò i cespugli e andò verso i Barrens. Era buio, molto buio, e l’odore che c’era lì le sembrava quello di un bambino cotto. La mano le faceva un male cane, forse avrebbe dovuto pucciarla nel fiume. Quando arrivò all’acqua vi trovò Scrat. Era molto più alto di lei e puzzava. Le sue zanne non erano ridicole come nel film, proprio no. erano zanne cattive. – Johnny è morto! – gli disse, poi Scrat la aggredì e la trascinò via.
Un’oretta dopo, mentre It fasciava nella sua ragnatela i resti di Tracey gongolando per l’ottima serata, sentì uno strano verso provenire dall’alto. Si girò a guardare e vide che il bozzolo contenente Kaspbrak sussultava. Aveva allargato le braccia e teneva i pugni stretti come se avesse afferrato qualcosa. Quel verso che aveva sentito, un verso che praticamente non aveva mai risuonato in quel luogo, era una risata. Dalle palme delle mani di Eddie cadevano gocce di sangue.
It urlò tutto il suo furore, e il suo terrore, ma Eddie continuò a ridere.

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